Emozioni SM ancor prima di entrare

Solo una donna può scrivere di una festa SM non raccontando nulla ma parlando solo delle sue emozioni. E neppure delle sue emozioni dentro la festa, ma prima di entrarci.
Lei, molto bella, con la testa, con il corpo.
Un piacere vederla alla festa dell’ULTIMO LUNEDI’. Un piacere scoprire i suoi pensieri ed è un dono che lei ci fa.
Fulvio

L’Ultimo Lunedì. Mi preparo sempre con la stessa solennità di una diciottenne che si prepara al ballo delle debuttanti.
Ed ora eccomi qui, in questo camerino, ingresso di questa parte di mondo solo nostro. Questo angolo di Nautilus che contiene l’universo.
Un universo che mi si é rovesciato addosso come la lava di un vulcano, mentre guardo intorno, mordendomi la lingua per il timore di dire stupidaggini.
E poi non serve, qui, parlare. Il piacere é silenzioso, come lo é lo stato di felicità. No, davvero non

“Nataieri” legata da Denis

serve. Non serve quando si pensa in maiuscolo.
Mentre guardo i master arrivare l’uno dopo l’altro. E sono bellissimi, tutti, indistintamente.
Colui che ho davanti, ad esempio, uno scheletro di razza, un gladiatore al centro dell’arena.
Talmente bello, e cattivo con le sue catene, da farmi mancare il fiato, come fossi una fanciulla di un romanzo vittoriano pronta a svenire quando, a mezzanotte, fa la sua comparsa il bramoso vampiro.
Ho bisogno di vedere le sue catene per immaginare cose? No, certo, ma quelle catene, e quelle fruste, danno colore alle nostre consapevolezze, così come a volte si gratta una carota per dare colore all’insalata.
E poi ne arriva un altro, con tutto il suo armamentario della passione, ed alcuni strumenti che non so immaginare a cosa servono, e quando Alchimia me lo dice rimango così come si rimane, al mattino quando una notizia ti lascia con il cucchiaio a metà tra la bocca e la tazza dei cereali.
E allora immagino cose, e sento così forte ciò che mi attrae tra tutto questo ben di Dio, in questo camerino, lussuriosa pasticceria che contiene il più vasto repertorio di macroscopiche “buonezze”, alle quali nemmeno San Tommaso potrebbe resistere.
E parla con la sua schiava di cose assurde, eppure meravigliose, confermandomi che il mondo, per me, da qualche tempo a questa parte é più insanguinato e bello.
Vedo i segni di una frustata sulla pelle di una schiava che sta entrando. Anche io, diamine, ora anche io so cosa significhi. Non credevo che mi sarei mai fatta frustare … ma anche Hilary credeva che avrebbe battuto Obama, non é così?
Il tempo di domandarmelo ed ecco che ne arriva un altro. Così master che mi sento dissanguare nella testa anziché nel corpo, disarmata come un ubriaco al quale vengano date le chiavi del bar; lo stomaco pervaso da brividi: una sorta di chiamata telefonica dal nulla.
Mostrano fruste, e catene, e morsetti, questi ultimi due arrivati, e, si, mi chiedo come sarebbe bello se entrambi si occupassero di me. Insieme. Ed evito di dirlo, o anche solo di farmi capire, per evitare di vedere le loro facce sorprese, come quando in Sccoby Doo i due studenti scoprono che il delinquente era il bibliotecario pazzo.
E di là la festa inizia. Sento rumori. Che rimbombano nella testa e nelle fibre, ed hanno lo stesso effetto dei chicchi di grandine su una lamiera.
E rido nervosamente, rendendomi conto di come ogni volta, qui, nel camerino, durante i preparativi, mi senta come immagino ci si senta quando dopo aver fischiato per chiamare un cucciolo ci si accorge che é il lupo ad essere arrivato.
Indosso i sandaletti con il tacco. Con vanità ed orgoglio, gustando sin d’ora il piacere di poter sfogliare margherite prima di decidere chi mi massaggerà i piedi.
Alzo lo sguardo, e vedo una schiava bellissima, consapevole, determinata, lupa. Vorrei essere come lei ed immaginando cosa si farà, tra poco, sul e con il suo corpo, la invidio, e mi immagino al posto suo, sentendomi come un’ubriaca che fa ogni sforzo per cercare di passar per sobria.
Voilà, il vestitino nero, con le coppe trasparenti, intenta ad incrociare i lacci con lo stesso impegno del Dott. Frankenstein mentre tenta di animare il mostro nel suo castello.
Ingoiata dai miei stessi desideri, così come si dice che la balena abbia ingoiato Giona.
E poi entra un altro splendido animale; elefante che abbatte foreste, ingombrante come Gulliver nel paese dei lillipuziani. Solo più tardi scoprirò che apparteniamo alla stessa metà della medaglia, anche lui é sottomesso, ma non conta: per me ora é il misterioso cow boy del quale percepisco ovunque la presenza: mi basta sentire un rumorista picchiettare con le dita su un pezzo di legno concavo per vederlo avvicinarsi al saloon con i suoi polverosi stivali.
Meriterebbe di essere scolpito nelle rocce del su Dakota accanto a Roosevelt.
E dopo interminabili minuti che magari sono state ore oppure solo una manciata di secondi,
mentre mi rendo conto che la donna che ero un anno fa é imparentata con la donna seduta su questo divanetto come lo sono cugini di sesto grado,
mentre darei qualsiasi cosa perché il tempo si fermi,
mentre io mi preparo a superare le travi di legno sulle quali temo sempre di inciampare incastrando i tacchi,
mentre si indossano corsetti, si esibiscono fruste, mentre ci si trucca,
mentre fuori la vita va avanti; le formiche costruiscono città, i gatti cercano il loro pisolino ideale, gli alberi nonno fanno niente ma vivranno più di noi.
In questo momento non chiederei di più, perché niente é di più.
Un ultimo pensiero, prima di andare di là, e salutare Fulvio, ed Alchimia, e Frank, e Grimilde, e Curriosa, e tutti quanti: mi chiedo cosa accadrà in futuro.
Mentre forse dovrei pensare che il futuro, qualunque esso sia, é già cominciato.
“nataieri”

Un semplice gioco di corde per valorizzare e per capire.
Così “nataieri” è tornata a casa. Il cappotto sopra e le corde sotto. Di certo le sue emozioni non sono finite quando è finita la festa.
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