Angela, schiava del desiderio di Giampiero — RACCONTI dei LETTORI

Angela, schiava del desiderio di Giampiero
Chi ha mandato questo testo assolutamente pregevole ha purtroppo messo questo “cappello” con cui ci annuncia che l’opera resta incompiuta. A mio avviso un vero peccato.
“Questo e’ il primo dei dodici capitoli di un romanzo cui non ho dato nemmeno il titolo che mi ero messo a scrivere. La cosa mi ha stufato e ho lasciato tutto lì. Ma voglio che almeno il primo capitolo ve lo godiate.”

Cap. 1 (ed anche unico)
Era arrivata l’ora di andarlo a prendere in aeroporto. Angela diede un’ultima occhiata in giro prima di uscire. Tutto doveva essere come voleva Lui, nel caso fosse venuto a casa. Tapparelle abbassate, una luce accesa sul tavolino, televisore sintonizzato su un canale di videoclip, a volume basso. Non doveva fare tardi.
Tirò la porta senza dare giri di chiave e si infilò frettolosamente in ascensore. Lo specchio, dentro, le rimandò l’aspetto che conosceva, che non le piaceva. Era stata graziosa, ma il tempo e i dispiaceri non l’avevano certo migliorata. Le battutine delle colleghe più giovani glielo ricordavano e gli inviti a cena sempre più rari lo confermavano. Questi ultimi anni non erano stati facili: abbandoni, solitudine, un po’ di piombo nelle ali. Poi aveva incontrato Lui.
L’aveva trovata che lei era ormai una cagnolina randagia e l’aveva presa con sé. Certo, era uno strano tipo di amore. Era amore? Forse no, forse si. Un legame molto forte, un desiderio corrisposto. Con Lui si sentiva al suo posto, protetta. Era indubbiamente un uomo duro, la trattava troppo severamente, a volte. La voleva sottomessa, schiava. Ma questo era in fondo quello lei che aveva sempre desiderato, che aveva sempre temuto, e che aveva sempre evitato. E ora invece era successo, così, in modo naturale. Era arrivato il momento, quindi.
Tutti i sacrifici che Angela faceva però avevano un senso, perché Lui la desiderava, la desiderava molto.
Lui aveva ormai fatto tutto, visto tutto, conosciuto tutto e guardava con sufficienza le altre donne, anche giovani e belle. I loro corpi perfetti, curati e pronti per il solito rito dell’accoppiamento, per Lui erano resi banali da occhi che non avevano visto, che non conoscevano, chiusi alla vera natura del rapporto tra uomo e donna.
Desiderava lei invece. Angela era orgogliosa e felice di vedere come riusciva ad eccitarlo e a soddisfarlo quando gli si sottometteva completamente.
Guidava e ripensava all’ultima volta che si erano visti. Aveva iniziato subito, appena entrati in ascensore. L’aveva fatta girare verso la parete, con la fronte e i palmi delle mani appoggiate.
Si era accostato dietro, le aveva sbottonato la camicetta e afferrato i seni. Aveva iniziato subito a pizzicarle i capezzoli, a farle male, con le unghie. A Angela ormai il dolore piaceva molto, si era abituata. Le piaceva l’attesa, i lunghi minuti in cui aspettava immobile che lui la colpisse, chiedendosi se avrebbe usato la cinghia, la frusta o la canna. Era dura, a Lui piaceva picchiarla forte, ma dopo era bellissimo. Tutti i sensi erano acuiti, ogni carezza era una scossa elettrica, il piacere arrivava sicuro, veloce, fortissimo. Quanto era diverso dalle scopate tristi, senza vero desiderio, piene di cortesie e gentilezze ma che rassomigliavano ad una visita dal dottore.
Ad Angela piaceva guardarsi allo specchio dopo, vedere i segni dei colpi sulle natiche, li accarezzava per notare il rilievo, pensava a quanto era stata brava a sopportarli, a quanto era piaciuto a Lui.
Amava quei segni. Prima di uscire, la sera, se non li notava più, lo implorava di colpirla di nuovo, velocemente, per sentire il bruciore accompagnare ogni altro piacere della serata.
Quella volta in ascensore le aveva lasciato i capezzoli arrossati e doloranti. Dopo averle chiuso un bottone della camicetta, le aveva sollevato la gonna dietro. Angela sapeva cosa doveva fare.
Aveva scostato le gambe e inarcato la schiena per esporre bene le natiche. Lui la toccava senza passione, la ispezionava minuziosamente e freddamente. Controllava che fosse nuda, perfettamente depilata. Angela sapeva che le poi le avrebbe infilato un dito nell’ano. Non le piaceva, non le era mai piaciuto. Lui lo sapeva, lo faceva ogni volta che poteva, godeva di lei così, mentre Angela lo avrebbe accolto volentieri nel suo sesso trascurato. Lui lo faceva perché la voleva umiliare.
Glielo aveva detto, era così che si fottono le serve. Erano tante le umiliazioni che doveva sopportare, ma le accettava volentieri. Angela sentiva che erano il modo giusto per insegnarle a stare al suo posto, per ricordarle quale era il suo stato. Sapeva che non significavano disprezzo, anzi. Dimostrare di essere una brava schiava significava diventare un bene prezioso, essere accettata e apprezzata da Lui.
Continuava lasciarla con le natiche nude, mentre l’ascensore si avvicinava rapidamente al piano.
Quando le avrebbe tirato giù la gonna? Lui aspettava sempre che iniziassero ad aprirsi le portine. Forse, se avesse visto entrare un giovane maschio gliele avrebbe tenute scoperte per un momento, per esibirla. Forse era già successo, senza che lei se ne accorgesse. Qualcuno dei suoi vicini sembrava a volte che la guardasse con un sorrisino strano quando li incrociava all’ingresso. L’ascensore saliva, la paura montava e le stringeva lo stomaco in una morsa. L’ascensore si fermò di botto e la gonna andò giù. Angela ebbe un brivido e la tensione cessò subito.
Paura, umiliazione, dolore. Questi erano gli strumenti con cui lui la dominava.
Ormai Angela era arrivata all’aeroporto, si avviò velocemente verso il punto d’incontro. Lui era già lì! La guardava serio.
“Buongiorno Padrone” Lo salutò Angela.
“Sei sempre in ritardo. Eh?” Rispose Massimo.
Angela ebbe un brivido, sapeva cosa significava questo rimprovero.
“Oggi c’è la conferenza stampa per la presentazione del libro. Andiamo a mangiare qualcosa, dobbiamo farci trovare in libreria non troppo tardi”.
A Massimo piaceva scrivere, lo faceva per passatempo. Era appena uscito il suo ultimo lavoro, un manualetto a cui teneva molto e la casa editrice gli aveva preparato un incontro con un gruppo di giornalisti per promuovere le vendite. Massimo si interrogava su quale fosse l’approccio più efficace con loro, per posizionarsi nel modo giusto, non banale ma neanche chiassoso o provocatorio.
* * *
“Le incomprensioni tra Europa e Stati Uniti colgono di sorpresa molti, dopo la costante vicinanza degli anni della Guerra Fredda tra le due sponde dell’Atlantico. Non dovrebbero invece meravigliarci. Fin da quando i Padri Pellegrini sbarcarono in America nel 1620, in un atto di ribellione e rifiuto dei “valori” europei dell’epoca, gli Americani sono stati sempre animati da uno spirito di critica e di opposizione nei confronti dell’Europa e dei suoi ordinamenti sociali. Nel Settecento hanno fatto la guerra all’Impero Britannico per guadagnare l’indipendenza, hanno fatto la Rivoluzione Americana, hanno visto con sgomento l’equivalente europeo, la Rivoluzione Francese, degenerare nel Giacobinismo e nell’Impero di Napoleone. Nell’Ottocento hanno continuato a combattere tutte le potenze europee che capitavano a tiro, Spagnoli in particolare. Finalmente nel Novecento i tre “interventi” in Europa, la Prima, la Seconda Guerra mondiale e la Guerra Fredda. Più che interventi sarebbe appropriato chiamarli guerre contro l’Europa: in tutte e tre le circostanze, per quanto ci fossero Europei alleati degli Americani, la maggior parte di questi erano infatti dall’altra parte della barricata e se la conta delle teste non basta, sarà sufficiente considerare che in tutte e tre le circostanze lo scontro e’ stato tra gli ideali di libertà e di democrazia così come erano cresciuti in America da una parte e il fior fiore della produzione ideologica europea dall’altra: militarismo, nazionalismo, fascismo, nazismo e comunismo.”
Silvia continuava a pestare sulla tastiera del computer per terminare l’articolo in fretta. Nel suo giornale doveva fare di tutto e l’attendeva un altro impegno, una storia tra la cronaca e il pettegolezzo, una classica faccenda di corna finita in tribunale, appena arricchita da un’oscura serie di ricatti e risvolti sado-maso. Anche se scriveva soprattutto di politica, a Silvia piacevano queste storie di tutti i giorni e gli spaccati di umanità che venivano fuori. E aveva sempre avuto una specie di curiosità per l’erotismo “particolare”. Decise di incominciare proprio dal risvolto più piccante. Si ricordò di un suo amico, il Porco lo chiamava lei scherzosamente, che non le aveva mai nascosto la sua passione di legare le ragazze e ripassarle con la frusta. Forse le poteva dare qualche spunto interessante o almeno un po’ di “colore” a luci rosse per iniziare l’articolo. Fece il suo numero di telefono:
“Ciao Porco, come va?” lo apostrofò appena presa la linea
“Ciao Silvia, è un vero piacere sentirti, sono lieto che tu mi ricordi in termini così lusinghieri” rispose Giorgio
“Senti, devo scrivere un articolo su quella storia, quella donna, il giudice del tribunale dei minori, legata, fotografata e ricattata, sai di cosa parlo…”
“Eh, si, lo so, in Chat non si parla d’altro. E’ stata davvero una porcheria”
“Vorrei cominciare il primo articolo parlando dell’ambiente in cui è nata questa cosa, tu ci sei ancora dentro fino al collo, vero?”
“Va bene, non ne so molto ma ti posso raccontare un po’ di pettegolezzi. Perché non vieni questo pomeriggio alla Libreria del Corso, c’è un mio amico, Massimo, che presenta alla stampa il suo libro appena uscito, una cosa in argomento, intitolato “Come frustare vostra moglie e perché”. Potresti intervistarlo e incominciare a raccogliere materiale utile, ci sarà anche molta gente interessante…”
“Va bene, a che ora è?”
“Alle 18. Passo a prenderti?”
“Sì, grazie, al giornale”
Appena posato il telefono il suono del cellulare sorprese Silvia, che rispose dopo aver dato un’occhiata al chiamante, era il suo fidanzato.
“Pronto?”
“Ciao fragolina, come va?”
Lui l’amava pazzamente, la riempiva sempre di attenzioni e tenerezza.
“Sono qui che lavoro”
Silvia apprezzava il suo affetto, ma lo trovava infantile e si sforzava inutilmente di spingerlo ad essere più uomo, era sempre più frustrata dal suo modo di fare.
“Perché sei così fredda passerotto? sei ancora arrabbiata per ieri?”
Il giorno prima Silvia gli aveva parlato dei suoi desideri, cose brutte, sporche che lo avevano disgustato e rattristato.
“Potresti intanto cominciare a smettere di chiamarmi con questi nomignoli stupidi, lo sai che non mi piacciono” rispose astiosa Silvia, avevano già bisticciato per questo, lei lo aveva ferito dicendogli che voleva essere chiamata troia, puttana, cagna.
“Silvia, dai, lo sai che io ti amo e ti rispetto, non ricominciare!”
Lui era sconvolto, pensava a qualche trauma infantile che potesse essere la causa dei desideri perversi della sua Silvia, sognava di qualche cura, qualche psicologo che gliela potesse rendere normale e tranquilla come la desiderava.
“Non hai palle, questa è la verità, ogni volta che ci vediamo mi deludi.”
Finisce sempre con la solita minestrina da fidanzati, ricordava con rabbia Silvia. Ma lei invece voleva essere sorpresa, sconvolta.
“Questo perché non mi va di trattarti da puttana? Ma io voglio che sia tutto pulito tra di noi, vorrei che tu fossi la madre dei miei figli, come possiamo fare quelle cose?”
Lui era umiliato, triste, non sapeva proprio cosa fare.
“Lo sai cosa ti dico, mi hai veramente seccata, io sono troppo per te, non ce la fai e basta”
Silvia sognava un uomo che la dominasse, che la mettesse in ginocchio, ma non era remissiva, anzi, sfidava gli uomini per tenere alla larga i tipi senza palle e vedere chi era più forte di lei.
“Ci vediamo stasera?”
“No, ho un impegno”
Silvia aveva deciso di tirare la corda, di metterlo alla prova, se avesse reagito, bene, altrimenti sarebbe finita.
“Va bene, ciao”
“Ciao.”
Debole, debole e rassegnato, non c’era niente da fare, pensò Silvia.
* * *
Silvia e Giorgio entrarono in libreria, c’era molta gente e diversi colleghi giornalisti. Non sembrava proprio una conferenza stampa molto formale, si erano formati dei capannelli; in uno, pieno di giornalisti, si parlava a voce alta. Al centro doveva esserci l’autore del libro, un tipo sulla quarantina, un viso anonimo, piuttosto insignificante. Silvia si avvicinò per seguire la conversazione, un suo collega, Ferretti del “Gazzettino” stava parlando:
“Lasciamo da parte per un momento il come e parliamo un po’ del perché. Per quale motivo mai si dovrebbe frustare la persona che si ama?”
” La risposta a questa domanda è molto semplice” Massimo spiegava con un’aria da professore, “sappiamo tutti che l’attrazione e il piacere sono causati e condizionati dalle differenze che esistono tra maschio e femmina e non è azzardato pensare che quanto maggiore è questa differenza tanto più intensi diventano il desiderio e la gratificazione di questo desiderio. Se ci mettiamo ad estremizzare le differenze psicologiche tra maschio e femmina finiamo tranquillamente in una classica situazione di padrone e schiava. E se estremizziamo anche le differenze di comportamento sessuale si finisce molto facilmente con la donna nuda e legata e l’uomo con la frusta in mano.”
Silvia notò che l’apparenza ordinaria dell’intervistato faceva molto contrasto col tono di voce fermo e lo sguardo imperioso che usava per rispondere, sembrava quasi infastidito dalla domanda e seccato di dover rispondere.
“Ma lei ha davvero fatto tutte le cose che ci sono scritte nel libro?” cinguettò una biondina, Lina, una vera oca, commentò tra sé e sé Silvia, che scriveva di Costume su “Repubblica”.
Giorgio prese per un gomito Silvia, nell’altra mano teneva un piattino di carta colmo di pasticcini al cioccolato:
La portò verso una zona strategicamente disposta vicino ai tavoli del rinfresco.
“Vieni, ti faccio conoscere un paio di amiche, sono Angela e Clara. Loro ne sanno parecchio di quella storia che mi dicevi”.
Silvia diede la sua solita occhiata indagatrice alle due donne mentre si facevano i soliti convenevoli. Angela aveva un’aria perbene, era piuttosto stagionata ma radiosa, Clara invece doveva avere poco più di vent’anni, era graziosa, timida e irrequieta. Si misero a parlare del più e del meno, studiandosi, mentre giravano attorno ad argomenti più concreti.
“Conoscete l’autore di oggi?” chiese Silvia.
“Certo, Massimo è un carissimo amico, una persona che apprezzo molto” si precipitò a dire Angela.
“La fa un po’ lunga con questa storia dei perché e dei percome, a volte è proprio palloso, non capisco perché non si può semplicemente farle, le cose, senza stare tanto a parlarne” replicò Clara con l’aria della liceale battagliera, mentre Angela la guardava con aria critica.
“Devo fargli qualche domanda prima che finisca, avviciniamoci” suggerì Silvia, spostando tutto il gruppetto verso il solito capannello. Gran parte dei giornalisti stavano ormai solo a sentire, mentre si godevano i frutti del saccheggio del buffet. Silvia riconobbe Giorgetti, uno della “Voce”, che scriveva in modo incomprensibile, stava facendo la sua domanda:
“Lei la fa molto facile, ma se è davvero così ovvio, come mai queste cose interessano solo una esigua minoranza di persone?”
“Beh, che ci vuole una completa maturazione psicologica e di una grande fiducia in sé stessi per sviluppare questo tipo di sessualità” replicò Massimo “molte persone invece hanno paura del sesso e non vogliono mettersi in gioco del tutto. A vent’anni, dopo molte esitazioni, spinti dagli ormoni e dal fatto che “lo fanno tutti” alla fine si buttano, ma molti non vanno mai oltre il minimo indispensabile per arrivare alla penetrazione e alla fecondazione. Una sessualità puramente genitale e in un quadro di comportamento quanto più possibile regolamentare e omologato ai normali rapporti della vita di tutti i giorni, dove maschi e femmine oggi sono sostanzialmente indifferenziati”
Silvia fece un cenno a Massimo per attirarne l’attenzione, sfoderando il suo sorriso professionale, per avere modo di fare la sua domanda.
“Ma a me farmi picchiare non mi va proprio”, le scappò di chiedere, un modo di fare la domanda non da lei, niente affatto professionale. Tra l’altro Silvia si accorse in un attimo di mentire, le tornarono alla mente ricordi, fantasie di quando era una ragazzina.
“Molti sono impressionati dalla violenza fisica” le rispose con una certa sufficienza impaziente Massimo, “ma questa non è la componente essenziale di un rapporto di coppia ad alta intensità, che è invece il fatto prettamente psicologico della Dominazione e sottomissione. Certo, c’è violenza in queste cose, a volte molta, a volte poca, ma talvolta niente del tutto. In ogni caso né un grammo di più né un grammo di meno di quello che piace e serve agli interessati.”
Silvia era rimasta quasi sola, i suoi colleghi giornalisti erano andati all’assalto del buffet, avevano finito di fare domande senza veramente interessarsi dell’argomento e tanto meno capirci niente. Avevano in mente già da prima cosa scrivere, quello che i loro lettori avrebbero apprezzato, il solito sguardo che i Giusti danno sul mondo dei Peccatori per sentirsi rassicurati sulla propria qualità morale e un’annusatina consolatoria al fumo di un arrosto che desideravano ma non osavano assaggiare.
Giorgio si era avvicinato anche lui e decise di sottrarre l’amico al rischio di nuove strazianti domande.
“Dai, Massimo, andiamo a prenderci un caffè. Lo sai che questa giornalista è una mia amica? Silvia, molto in gamba a farsi gli affari altrui…”
Silvia, che era rimasta vicino gli strinse la mano con un sorriso. Uscirono dalla libreria con Silvia in mezzo mentre Angela e Clara li seguivano chiacchierando.
* * *
Costantino era al telefono quando Massimo e gli altri entrarono nel suo locale. Aveva riconosciuto tra loro qualcuno di un gruppo di frequentatori abituali del suo locale, dei tipi veramente originali. Molte delle ragazze di questo gruppo avevano l’abitudine di non indossare le mutandine e sedersi “a pelle”, lasciando cosi’ delle vistose tracce sulle sedie. Facevano dei giochi, si sentivano delle cose, che mettevano molta agitazione tra i camerieri e, ultimamente, avevano anche preso l’abitudine di lasciare mutandine usate come mancia sul piattino del conto. Una cosa anche poco igienica, che se se ne accorgeva qualche ispettore della USL si potevano passare dei grossi guai. Pare che quelli di questo gruppo venissero nel locale, “I Quattro Mori”, attratti dall’insegna, che Costantino aveva adottato in ricordo della sua Sardegna. Trovavano suggestiva l’idea di questi Mori bendati, prigionieri, presumibilmente incatenati e con un vistoso piercing all’orecchio. Costantino, un po’ allarmato, aveva deciso di occuparsi personalmente di questi clienti, per cercare di tenere sotto controllo la situazione, e passò a prendere le ordinazioni.
Si erano seduti tutti e cinque ad un tavolino d’angolo, un po’ appartato e avevano incominciato a parlare. Clara era appassionata frequentatrice di Chat ed era quella che ne sapeva di più.
“Sono sei mesi che in Chat succedono cose strane” raccontava “Ragazze che frequentano intensamente e che poi spariscono di botto. Persone che magari avevano anche contatti reali con qualcuno della chat, un numero di telefono o qualche pizza presa assieme. Poi, d’improvviso, sparite e irrintracciabili al telefono.”
Giorgio aggiunse: “Sweet girl era una di queste, io ci ho parlato molto in Chat, si era presentata come una schiava senza esperienza, contavo magari di combinarci qualcosa, si capiva che voleva provare; poi, qualche mese fa, non si é più sentita.”
“Io in questa faccenda adesso ho un interesse personale” precisò Massimo, attirando l’attenzione di tutti, “quando é scoppiata questa cosa qualcuno in Chat ha iniziato a parlare, storie di ricatti. Poi una mia amica mi ha cercato, é nei guai, incastrata anche lei, non sa che fare e ha chiesto il mio aiuto.”
“Ora dobbiamo scappare, abbiamo parecchi chilometri da fare per tornare a casa” continuò “ma possiamo vederci a cena domani e parlare a fondo della cosa”
“Angela è la sua schiava?” chiese Silvia con tono malizioso, mentre i due si allontanavano.
“Una delle sue schiave”, precisò Giorgio, recuperando il telefonino che si era messo a squillare. Data un’occhiata al nome del chiamante , si allontanò per parlare tranquillamente, lasciando sole le due donne.
Silvia, a cui queste storie di padroni e schiave iniziava a interessare molto, si mise a chiacchierare con Clara “Dai, sono troppo curiosa, racconta, tu sei la schiava di Giorgio?”
“No, non sono sua schiava” rispose Clara “ma viviamo una specie di complicità molto forte e quando ho voglia di assaggiare la frusta facciamo qualcosa assieme.”
“C’è molta differenza d’età fra te e lui, lo trovi interessante comunque?” osservò Silvia.
Clara non rispose subito, non aveva ancora deciso quanto confidarsi con Silvia, non capiva se la sua curiosità fosse puro interesse professionale o se avesse veramente voglia di fare amicizia. Alla fine iniziò a parlare. “I miei coetanei hanno troppa fretta per fare bene queste cose, dopo un quarto d’ora vogliono scopare e quando lo hanno fatto perdono tutto l’interesse.”
“Allora ti piacciono proprio le persone mature!” disse Silvia
“Certo, le persone mature sono diverse, hanno tempi più lunghi, meno ossessionati dall’urgenza della scopata. Non tutti vanno bene, eh, molti sono maschi in crisi, alla ricerca di nuovi stimoli per rivitalizzare il desiderio calante, si muovono un po’ a caso e pasticciano parecchio. Giorgio invece è diverso, non ha fretta, sa cosa fare e lo fa bene.”
Il ritorno di Giorgio, che aveva finito la telefonata, interruppe bruscamente la conversazione tra le due donne.
“Vuoi venire a vedere la tana del lupo?” chiese Giorgio a Silvia “ho da mostrarti molte cose interessanti per gli articoli che devi scrivere su questa storia”.
Silvia accettò subito, era spinta da una grande voglia di sapere. Giusto un po’ di preoccupazione, ma era un rassicurata dalla presenza di Clara.
* * *
Il locale era vasto, sul pavimento, al centro, accostati disordinatamente, numerosi tappeti persiani. Dal soffitto pendevano alcune catene e al centro c’era una carrucola. Una parete era tutta di specchi, sulle altre c’erano delle rastrelliere a cui erano appese corde arrotolate e catene sottili. Da una parte c’erano fruste di molti tipi diversi; negli angoli e vicini alle pareti strani mobili, cavalletti, panche imbottite.
“Mi aspettavo una specie di antro oscuro…” osservò Silvia.
“Una buona luce è indispensabile, bisogna vederci bene quando si usa la frusta.” precisò Giorgio.
“Accidenti, ma qui ne hai proprio una collezione di fruste” disse Silvia, già piuttosto emozionata.
“Ad essere pratici potrebbe magari bastare un battipanni” rispose Giorgio ”ottimo attrezzo, che però è un po’ troppo casereccio, piace solo a pochi.”
Silvia aveva preso dalla rastrelliera un frustino e lo osservava attentamente.
“Anche l’occhio e le emozioni contano” Giorgio continuava a parlare con evidente trasporto dei suoi attrezzi. “Uno strumento a cui si pensa subito è il frustino da equitazione, come questo che hai in mano. E’ certo un oggetto affascinante. E’ piuttosto facile da usare. Corto com’è, si maneggia bene, è molto preciso e si può graduare esattamente la forza. Il fiocchetto di cuoio che ha in punta si usa per colpire con precisione e delicatezza dei punti sensibili, come i capezzoli, le ascelle, l’interno delle cosce o il sesso. L’asta del frustino si usa per colpire forte le natiche e le cosce, si lasciano delle righe rosse molto suggestive.”
Silvia passò il frustino a Giorgio che lo rimise a posto e staccò dal gancio un altro attrezzo, un flagello grande, fatto da un fascio di una ventina di grosse stringhe di cuoio lunghe una sessantina di centimetri e collegare ad un manico di legno ricoperto di pelle.
“Questo é lo strumento con cui faccio sempre il grosso del lavoro, è adatto a colpire le natiche, le cosce avanti e dietro, la schiena e la pancia. Ne uso uno un po’ più corto, sui quaranta centimetri, meno doloroso e più preciso, per colpire il sesso e i seni, é quello lì, con i fili rossi di plastica.”
“E queste qui sono le bacchette della maestra cattiva!” Esclamò Silvia sfilandone una delle tante infilate in una specie di porta-ombrelli.
“Queste canne le uso quando c’é da colpire duramente” spiegò Giorgio ” ci sono quelle tradizionali, di bambù e di rattan e altre di plastica. Quelle fini, sui sette millimetri, pizzicano la pelle e si possono usare dappertutto, senza esagerare con la forza. Quelle più grosse, sui dieci millimetri, si usano solo sulle natiche e sul posteriore delle cosce.”
“Accidenti” osservò Silvia “queste così grosse devono fare male veramente! Ma non sarà troppo pericoloso?”
“No Silvia, sono regolamentari. Anche i testi medioevali, dove si fissavano i diritti dei mariti riguardo alla correzione delle mogli, precisano che si puo’ utilizzare il bastone per colpirle, ma che non deve essere più grosso di un dito. Più o meno come queste canne. E poi, non é solo la grossezza che conta, ma forse di più la lunghezza. Le canne lunghe settanta centimetri sono molto maneggevoli e precise, non fanno tanto male. Per farsi sentire vanno bene quelle da novanta centimetri. Quelle ancora più lunghe hanno molta potenza e c’è da stare attenti a non fare danno. Lo stesso effetto ha questo altro simpatico attrezzo per l’equitazione, una frusta da dressage.”
“Qui ci sono anche le fruste da domatore di leoni!” esclamò Silvia, che continuava ad esplorare le rastrelliere.
“Eh, queste sono delle icone per noi appassionati, un vero oggetto di culto. Per molti usarle crea un’emozione e ha un significato che va oltre il risultato materiale del dolore inflitto. Fruste come queste, non molto lunghe, sul metro e mezzo, si possono utilizzare agevolmente. Quelle più lunghe, due o tre metri, sono molto impegnative, richiedono luoghi molto spaziosi che in genere non sono disponibili. Si colpisce di punta e quindi bisogna stare a due o tre metri dal bersaglio, e ci vuole altrettanto spazio dietro. Anche se persone molto allenate riescono a usare la frusta con buona precisione, si tratta di un attrezzo flessibile e lungo, per sua natura impreciso. E’ molto, anche troppo potente, e se si cerca di dare colpi non troppo forti diventa ancora meno preciso. A molti piace dare il colpo che si attorciglia sul corpo della schiava. In questo caso si sta più vicini ma ci vuole spazio tutto attorno perché quasi ad ogni colpo bisogna spostarsi e girare attorno al bersaglio. A fare male è sempre la punta, che in questo modo però non si sa mai bene dove vada a finire ”
I passi di Clara che si avvicinavano interruppero la conversazione. Giorgio e Silvia si voltarono a guardarla. Si era fermata, era rimasta a qualche metro. Era nuda. Ai polsi e alle caviglie dei pesanti bracciali di pelle con degli anelli, i capelli raccolti in alto in una coda di cavallo.
“La mia giovane viziosa è anche esibizionista, mi pare” osservò Giorgio, “vuoi dare spettacolo a Silvia eh?”
“Credo che Silvia abbia bisogno di sapere” rispose Clara. I suoi seni ondeggiarono leggermente quando rivolse il suo sguardo a Silvia e poi nuovamente a Giorgio.
“La tua ospitalità é davvero squisita, ma forse c’é anche dell’interesse personale vero?” rispose Giorgio ironico.
“Vedi Silvia” disse Giorgio rivolgendosi alla sua amica ” io e Clara siamo molto diversi e abbiamo interessi differenti, ma ogni tanto ci troviamo per coltivare un nostro piccolo piacere comune. A Clara piace la frusta, le piace veramente tanto e le piace quando sono io a fargliela sentire. Non si può dire che sia mia schiava, è piuttosto schiava della sua passione. Io l’ho in pugno perché so cosa le serve, ho in mano la chiave del suo piacere. Non è quasi per niente sottomessa, come piacciono a me, è soprattutto masochista, le interessa solo il dolore.”
Silvia seguiva la scena con una crescente emozione
” Su, inginocchiati mia cara,” disse Giorgio a Clara “rispettiamo un po’ le forme.”
Clara si inginocchiò su un tappeto, con le ginocchia un po’ scostate, poi chinò la testa fino a poggiarla a terra. Inarcò la schiena mettendo ben in evidenza la curva della natiche di cui andava molto fiera. Giorgio le si accostò di fianco, sedette su uno sgabello vicino e le posò la mano sul sesso carezzandola leggermente. Era perfettamente depilata e la pelle liscia era leggermente sudata.
“Mmm, abbiamo una femminuccia qui” celiò Giorgio scorrendo con un dito i contorni del sesso di Carla.
“Allora, Clara, dimmi un po’, cosa vuoi da me?” concluse Giorgio continuando a toccarla.
“Voglio servirti” rispose Clara
“Posso occuparmi di te, ma sai che sono molto esigente, vero?”
“Si, lo so, puoi farmi tutto quello che vuoi”
“Bene,” rispose Giorgio “così mi piaci, docile ed accogliente.” Concluse la frase infilando profondamente due dita nel sesso di Clara, che ebbe un sussulto. Continuò a toccarla, come per prendere possesso del suo corpo, si fece leccare le dita, le bloccò le mani dietro la schiena collegando con un moschettone i due bracciali.
Le stava nuovamente frugando il sesso quando si rivolse a Silvia:
“A Clara non piacciono tanto tutte queste cerimonie, lei vuole la frusta. Non é che frustarla non mi piaccia, tutt’altro, ma io non sono mica al suo servizio, una specie di parrucchiere, che invece di farle i colpi di sole le da colpi di frusta: quando è qui, che si é data in mio potere, legata e eccitata, io mi cavo qualche piccola soddisfazione, cose che a lei magari non dicono niente o le danno anche un po’ di fastidio.” Con evidente soddisfazione le stava allargando la rosellina dell’ano.
“Bene, incominciamo allora.” Giorgio afferrò Clara per i capelli e la tirò su in piedi. La bendò con un una mascherina di pelle nera e poi, presala per un braccio la portò al centro del locale. Le fece scostare i piedi e bloccò le caviglie con dei corti spezzoni di catena che erano fissati al pavimento. Poi le agganciò i polsi ad una corta barra che pendeva dal soffitto. Ora Clara era bloccata, totalmente esposta, vulnerabile.
“Sei pronta, mia cara? Ora incominciamo con una scaldatina con dodici serie di dodici colpi.”
Giorgio si voltò verso Silvia, che, agitata dall’emozione, si era seduta su un divano vicino.
“Non c’è da fare tante storie con Clara, sistemarla è soprattutto un problema di tecnica. Comincio a prepararla con dodici serie. Ogni serie di colpi porta via poco piu’ di un minuto, tra una serie e l’altra passa altrettanto, in tutto ci vorrà una mezz’oretta abbondante: a quel punto Clara sarà pronta per fare sul serio, pare che sia un fatto di endorfine”
Giorgio prese dalla rastrelliera una lunga frusta, fatta di un fascio di stringhe di cuoio, e si rivolse a Clara.
“E’ un bel pezzo che ti tratto con mano leggera ma tu dimentichi troppo facilmente cosa voglio da te. Sta certa che oggi, prima di finire, ti avro’ lasciato un ricordino che ti aiuterà la memoria.”
Le appoggiò alle labbra il manico della frusta e Clara lo baciò.
Il primo colpo le arrivò forte sulle natiche, strappando un gemito sommesso alla ragazza, gli altri seguirono cadenzati, più in basso, sulle cosce e poi di nuovo su, fino alla schiena. Dopo i primi dodici colpi Giorgio posò la frusta e iniziò a passare la mano sulla pelle arrossata, le frugò il sesso, voleva accertarsi che fosse eccitata: Clara era già fradicia. Le applicò due pinze alle grandi labbra, da ognuna pendeva un grosso piombo. Le afferrò con ambedue le mani i seni, stringendoli e strizzando i capezzoli tra le dita. Anche ai capezzoli appese due pinze appesantite da due sfere di piombo.
Preso nuovamente il flagello andò davanti a Clara e iniziò a colpirla sul davanti delle cosce, poi più su, sul pancino fin poco sotto i seni: ogni colpo scuoteva la ragazza e i piombi rimbalzavano tirando dolorosamente sul sesso e sui capezzoli.
Silvia seguiva la scena in preda a un’emozione profonda. Osservava il corpo di Clara che si agitava sotto i colpi, la pelle che si arrossava. Invidiava la forma asciutta da ventenne, desiderava essere li’ appesa, al suoi posto, e le sembrava di sentire su di se le frustate e provare le stesse emozioni.
Giorgio avava finito anche la seconda serie di colpi e, posata la frusta, inizio’ a togliere le pinzette che aveva applicato sul corpo di Clara. Controllava il segno rimasto e lo massaggiava con un certo compiacimento. Le toccava il sesso per dovere, bisognava verificare che tutto andasse bene e l’eccitazione fosse sempre viva. Per puro piacere invece la penetro’ nell’ano con due dita appena bagnate nel sesso.
Dopo aver preparato Clara alla nuova prova, Giorgio scelse un flagello più piccolo e più corto. “Dobbiamo fare un lavoretto fine e di precisione, a questo punto” disse colpendo un seno. Gli altri colpi seguirono, ancora i seni prima di lato, poi sotto e infine sui capezzoli. La serie era quasi finita, un colpo raggiunse Clara sul sesso, leggero, poi un’altro più forte e quindi il terzo, fortissimo.
Questo trattamento, meno forte ma mirato alle zone più sensibili, aveva gonfiato l’eccitazione di Carla. Giorgio la senti’ nettamente quando prese a toccarle il sesso. Prima l’accarezzo’, per far aumentare l’eccitazione, poi le strizzo’ crudelmente il clitoride con le unghie per bloccarla.
“Ti stai eccitando un po’ troppo, mia cara, ma rimediamo subito, non é ancora il momento giusto”. Giorgio le riapplico’ le pinze col peso di piombo sia ai capezzoli che al sesso, stringendo assieme le piccole e le grandi labbra. Alla fine le applico’ una pinza piccola anche al clitoride. A Clara sfuggivano dei gemiti sommessi ogni volta che si aggiungeva un nuovo tormento.
Giorgio prese una frusta pesante e si mise dietro la ragazza. Inizio’ a colpire, metodico, prima la schiena, poi le natiche e poi la parte posteriore delle cosce. Colpiva duro, aspettando parecchi secondi prima del nuovo colpo, per lasciare che il colpo fosse ben sentito. Clara iniziava a lamentarsi ad ogni colpo, sempre più forte, e Giorgio colpiva sempre più duro. All’ultimo colpo, molto forte, Clara lancio’ un grido, e continuo’ a lamentarsi.
Posata la frusta, Giorgio passo’ la mano sulla schiena e le natiche ormai rosse e arroventate, con evidente soddisfazione. Si mise a giocare con le pinze applicate al corpo della ragazza, strappandole nuovi gemiti. Le tocco’ il sesso. Per la durezza del trattamento l’eccitazione era sensibilmente calata. Bisognava ricominciare daccapo, con la mano leggera. Giorgio prese un frustino e incomincio’ a colpirla di punta, non troppo forte, scegliendo accuratamente il bersaglio: i seni, i capezzoli, l’interno delle cosce, il sesso. Poi inizio’ a colpire piu’ forte, con la canna del frustino, prima sulle natiche e poi sui seni, di traverso, centrando entrambi i capezzoli con un colpo solo.
Clara apprezzava il trattamento, si offriva ai colpi e iniziava a sospirare. Giorgio osservava soddisfatto la sua preda, pregustando gia’ il momento in cui l’avrebbe nuovamente fermata con la frusta sulla soglia dell’orgasmo.
“Io sono un vecchio militare” disse sivolgendosi a Silvia ”mi piace l’ordine e la disciplina. Questa ragazzina così viziosa, scapestrata e turbolenta mi fa subito venire voglia di darle una bella raddrizzata”
“Le stai facendo molto male” rispose Silvia.
“Sono convinto che per la nostra amica Clara ne vale proprio la pena” replico’ Giorgio. “Sopportare il dolore e’ anche questione di tecnica e di allenamento. Per questo raccomando sempre alle mie schiave di frequentare un corso di preparazione al parto, si imparano molte cose interessanti a questo proposito.”
Clara capi’ che fra un po’ sarebbe stata dura e incomincio’ a fare respiri profondi.
“Conta e ringrazia, mia cara” disse Giorgio a Clara, assestandole un duro colpo sulle natiche con una canna flessibile. Il trattamento subito fino ad allora avevano fatto emergere alcuni tratti di carattere della ragazza che erano normalmente coperti dal suo atteggiamento orgoglioso e aggressivo della vita di tutti i giorni. Clara si sentiva impotente, sottomessa, costretta all’obbedienza, e inizio’ a contare:
“Uno, grazie padrone”.
I colpi continuavano a cadere regolari, lasciando una serie di righe rosse perfettamente parallele che si allargarono dalle natiche fino a coprire la parte posteriore delle cosce e la schiena. Giorgio voleva sentirla contare non solo il delizioso piacere di sentirla cosi’ sottomessa ma anche per assicurarsi che respirasse regolarmente e profondamente: le schiave che trattenevano il respiro per il dolore cedevano troppo presto e non gli davano abbastanza soddisfazione.
Quando la conta arrivo’ a 12 Giorgio poso’ la canna di rattan e passo’ la mano la mano sulla schiena della ragazza in cerca dei segni lasciati dalla canna. Seguiva con i polpastrelli il rigonfiamento della carne provocato dal colpo, era rovente e duro. Questi segni sarebbero durati diversi giorni, per Giorgio erano un marchio, un segno di possesso che lasciava su un corpo che sarebbe stato, in questo modo, suo anche dopo, per un po’.
Data un’occhiata per verificare che nessuno dei colpi avesse lacerato la pelle e fatto uscire sangue, Giorgio riprese la canna e si sposto’ dall’altro lato del corpo della ragazza.
“Altri dodici. Su bella, conta” disse a Clara, iniziando a colpirla di rovescio.
Questa nuova serie di colpi, un po’ piu’ leggera, avevano nuovamente fatto salire l’eccitazione di Clara, come Giorgio verifico’ frugandole brutalmente il sesso. La ragazza stava ora sudando copiosamente. Lui la fece bere dell’acqua dal cavo della mano, che lei leccava accuratamente per recuperare ogni goccia. Mentre Clara beveva Giorgio la guardava compiaciuto e si godeva il contatto della lingua e delle labbra della ragazza sul palmo.
Dopo averla fatta bere le fece spalancare la bocca e le mise un bavaglio a pallina che le bloccava la mascella. La voleva preparare bene per il finale. Con un frustino inizio’ a colpirla non troppo forte nei punti piu’ sensibili: sesso e capezzoli.
Dopo la prima serie di colpi Clara era ormai sulla soglia dell’orgasmo: grondava sudore, il sesso fradicio iniziava a gocciolare e da un angolo della bocca bloccata dal bavaglio iniziava a scendere un filo di saliva. A Giorgio piaceva questo spettacolo, mancava solo un ultimo dettaglio. Prese quattro grosse pinze da cancelleria, di lamiera nera, molto dure. Quando Clara le vide sbarro’ gli occhi, sapeva bene quanto facevano male. Giorgio gliele fisso’ alle grandi labbra e ai capezzoli, mentre la ragazza si dibatteva per il dolore quasi insopportabile.
“Adesso ti voglio vedere piangere. Su, mia cara, lasciati andare” le disse lui mentre ricominciava a colpirla, forte, col frustino.
Non ci volle molto perche’ le lacrime iniziassero a sgorgare copiosamente. Giorgio completo’ la serie dei dodici colpi e poi tolse le pinze dal corpo della ragazza e il bavaglio dalla bocca. Gli piaceva strizzare cosi’ le ragazze, farle tirare fuori tutti i liquidi, emozionarle cosi’ a fondo e controllare cosi’ minuziosamente non solo le loro emozioni ma anche la loro fisiologia.
Carla era ormai molto provata, continuava a singhiozzare, le ginocchia le avevano ceduto e rimaneva su appesa per le braccia.
Silvia aveva seguito la scena con un’ansia crescente, che aveva sostituito la curiosita’ e l’interesse professionale: “Perche’ l’hai fatta piangere? Perche’ sei cosi’ cattivo con lei? Pensavo che un po’ le volessi bene”
”Vedi Silvia, in questo tipo di rapporti a volte c’è simpatia, tenerezza, quasi amore, ma non nel nostro caso. I nostri sono due egoismi complementari, dove ognuno bada a procurarsi il suo piacere senza tanti complimenti. Mi piace anzi sentire e ostentare indifferenza affettiva nei suoi confronti. Mi piace, e funziona per tutti e due.”
Giorgio aveva perso molta della sua freddezza iniziale, e ora appariva chiaramente emozionato e eccitato. Si riavvicino’ a Carla, la accarezzo’ rudemente, palpandole i seni e strizzandole i capezzoli. Lei si era un po’ ripresa, lui la afferro’ per i capelli e le tiro’ su la testa:
“Ora, Clara, ti tocca l’ultima passata, poi riposerai un po’ e dopo ci divertiremo sul serio”
Giorgio prese un grosso flagello nero, con molte code piuttosto grosse. La colpi’ non molto forte alla schiena, poi piu’ duramente alle natiche e alle cosce. Inizio’ a girarle attorno ogni due o tre colpi mentre la pelle di Clara si copriva di un diffuso rossore.
Clara era gia’ molto provata, e quando Giorgio smise, respirava profondamente.
“Abbiamo finito, mia cara, finalmente” le disse sganciandole le mani dalla catena che gliele teneva sollevate. Clara si abbandono’ al suolo spossata.
Giorgio si rivolse a Silvia: “Adesso devi andare, ci vediamo domani a cena.”
“Cosa le farai ora?” chiese Silvia.
“Vai, su, non sei ancora pronta per vedere” rispose Giorgio, con la voce un po’ rotta.
Sul taxi che la riporta verso casa Silvia continua a sentire, fortissime, le emozioni appena vissute e rivede mille volte passare nella sua mente le cose che ha visto. Si meraviglia delle enormità successe davanti ai suoi occhi ed é sconvolta dal desiderio fortissimo che sente, di essere trattata come Carla, di subire le stesse cose. Quando rientra a casa si sofferma un momento, si guarda allo specchio, vede un viso dolce, da bambina, e pensa alla cagna imprigionata dentro di se, che ha desideri terribili e che vuole uscire fuori. Si spoglia in un momento e si stende sul letto esausta per le emozioni della serata. L’immagine di Carla sotto la frusta le si ripresenta con prepotenza. Stringe forte i capezzoli con le unghie per sentire almeno una frazione di quel dolore e l’eccitazione monta subito. Continua a masturbarsi pensando a scene di frusta e torture, sogna di essere presa con la forza da un uomo brutale e misterioso. Il dolore è piacevole solo nell’immaginazione? E nella realtà?

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