RACCONTI dei LETTORI – Umile servitore – by dado

Le erano bastati pochi mesi ed aveva fatto di me un aspirante provetto colf.
Mi aveva abituato a svolgere per lei i lavori di casa in modo impeccabile, affinché non facessi pentire il suo lui di avermi concesso quel privilegio.
Le bastava concedermi un briciolo di confidenza, un sorriso malizioso, uno sguardo veloce per portarmi in brodo di giuggiole.
Era comunque sempre pronta a ristabilire subito le distanze e rimettermi in riga quando pensava fosse il caso.
Mi chiese di andare da lei prima due e poi una sola volta a settimana, il venerdì pomeriggio per farle i lavori.
Mentre io lustravo l’intero appartamento, lei, per lo più, attendeva appartata in camera sua, lavorando al computer o conversando al telefono, sola, a volte in compagnia di Piero o di Carlo.
Volle che imparassi ad essere per lei il colf del venerdì .
Ormai credo che tollerasse poco anche quando, di mia iniziativa, la cercavo al telefono, cosa che succedeva ormai sempre più raramente. Trattenevo la mia voglia di sentirla e quando non resistevo era sempre con la scusa di sapere se per il venerdì successivo avessi dovuto provvedere a qualcosa, procurare detersivi, ammorbidenti o saponi. Era il mio principale pretesto per sentirla nel corso della settimana: le dicevo che stavo andando al centro commerciale, le chiedevo se avesse bisogno, ma a volte trovavo la segreteria telefonica ed allora non lasciavo messaggi. Temevo che al suo rientro a casa con Carlo, lui avesse potuto riprendere me ed anche lei per la mia invadenza.
Ero sicuro che ormai a Lyse non sarei più mancato neppure se avessimo smesso del tutto di vederci, ma, in fin dei conti, il venerdì facevo di tutto per rendermi utile a lei.
Volevo che almeno quel giorno durasse fino a diventare per Lyse un’abitudine.
L’importante era che non si stancasse di me, che si abituasse all’ idea della comodità di avere un colf, che potesse non rinunciarci…
Da quell’ultima volta in cui aveva permesso che con le labbra facessi l’amore alle sue mutandine non mi aveva concesso più nulla. Ricordavo il suo odore… come un cucciolo ricorda quello del suo proprietario. Ma quella volta aveva ceduto a me in seguito ad un diverbio con Carlo, poi, tra loro, tutto sembrava di nuovo essere tornato idilliaco … e lei ora viveva per lui.
Per questo suo cedimento con me, Carlo l’aveva punita, l’aveva voluta completamente rasata, gli aveva fatto avvertire l’insindacabilità delle sue decisioni: solo in quel modo lei avrebbe potuto concedersi a lui. E il signor Carlo poteva continuare comunque a vedere la sua ex-moglie, mentre a Lyse veniva concesso che continuasse ad accogliere me, a patto che mi presentassi a lei in collant e solo negli orari stabiliti per i lavori di casa … era l’unico modo. Così aveva redarguito le flebili proteste di Lyse.
E lei ora non avrebbe più osato dissentire da un desiderio di Carlo, compreso quello di non mostrarsi più a me in atteggiamento discinto.
Quanto a me, dovevo considerare quel suo aver voluto sesso orale con le sue mutandine una sbandata temporanea di Lyse, un episodio non da dimenticare, ma comunque non più ripetibile. Fu per questo che Lyse volle che io chiedessi a lui in modo garbato il permesso di poter continuare a vederla. Donandosi a Carlo, Lyse riconobbe a lui il potere di educarla alla sensualità che anch’io non potevo negare. Una trasformazione che l’aveva portata ad accorciare le gonne, mettendo in risalto le gambe, curare la permanente, evidenziando il volto truccato, usare stabilmente scarpe con tacco, che slanciassero le caviglie, e camicette che lasciassero intuire la forma dei capezzoli e rivelassero l’incavo tra i seni. Le labbra erano sempre impeccabilmente “lucidate”, come ad esaltarne la prominenza, e le unghie perfettamente smaltate e curate…
Ma soprattutto la trasformazione era avvenuta dentro di sè: sicura e decisa nella sua gestualità, pur mantenendo la sua dolcezza, era conscia del suo piacere, del suo essere oggetto del desiderio, tutta protesa ad onorare il suo uomo, perchè anche lui potesse apparire orgoglioso di lei.
Da quando il signor Carlo permise che facessi a lei i lavori di casa, Lyse non uscì più pubblicamente con me, a parte una volta in cui decise di accompagnarmi a fare shopping.
Era febbraio ed aveva suggerito che io rinnovassi un po’ il guardaroba, approfittando dei saldi.
“…E poi, magari, ti troviamo un paio di collant carini…” scherzò quando mi comunicò che mi avrebbe accompagnato per negozi in centro.
Quella volta, mentre stavo provando un paio di scarpe di fronte a lei, cercai nuovamente di propormi, nell’ambito di ciò che mi era consentito.
Le aveva scelte lucide, chiuse, stile cameriere effeminato, con un po’ di tacco, voleva che cominciassi ad adeguarmi a quel tipo di stile, quando mi presentavo da lei i venerdì. Il tacco non era decisamente da donna, ma sarei stato imbarazzato ad indossarle in pubblico, non sapevo il perchè ma … una volta a casa lo volli misurare, era quattro centimetri … mi sentii un eunuco.
Le aveva scelte Lyse, sotto il cui sguardo le stavo indossando, dissimulando finta naturalezza, cercando di affrettare le prove, prima che altri clienti potessero notare. Accanto a Lyse rimaneva la giovane commessa che mi aveva porto il calzante e ci stava assistendo, anche lei in minigonna, come Lyse, avrà avuto vent’anni.
Pensai che la commessa probabilmente ci considerasse fidanzati. O forse no … Come avrebbe potuto pensare che una come Lyse stesse con uno come me, mentre mi stava de-mascolinizzando?
Ero imbarazzato … ma stranamente mi sentii ugualmente orgoglioso e lusingato di essere in sua compagnia, pensasse quel che volesse ….
Il pensiero di Lyse e che lei facesse anche questo per Carlo fu più forte del mio piccolo orgoglio… Forse Lyse capì i miei sentimenti, mi sorrise.
Fu forse per questo che d’un tratto mi sentii di nuovo forte e le chiesi allora in tono giocosamente confidenziale se avessimo poi potuto scegliere un paio di stivali anche per lei, assieme.
Volevo essere partecipe delle sue scelte …
Volevo regalarle un paio di stivali … esserle riconoscente del fatto che fosse di nuovo uscita con me ed avesse scelto per me quelle scarpe. Volevo regalarle un paio di stivali da DONNA, sapere che li avrebbe indossati quando sarebbe uscita col signor Carlo. Avrei desiderato contribuire al suo essere bella lui … in fondo era lui che mi permetteva ancora di servire la sua donna. Ma forse quello che mi spinse ad una simile richiesta era anche il desiderio egoistico di adocchiarla mentre li avrebbe calzati, lucidi, sulle gambe, fasciate dalle calze nere che stava quel pomeriggio indossando… avrei avuto la mia occasione di cercare di sbirciare il movimento delle ginocchia scoperte dall’orlo della gonna.
Glielo chiesi di fronte alla commessa, non riuscii a trattenermi dal manifestarle quella richiesta quando, dopo avermi fatto provare a passeggiare, diede l’ok all’acquisto di quelle mie scarpe.
“Ora possiamo cercare un paio di stivali per lei?” chiesi sorridendo con imbarazzo.
La commessa rivolse un’occhiata a Lyse attendendo conferma se avesse dovuto mostrarle qualcosa da donna … non ho idea di cosa avesse pensato notando che mi fossi rivolto a Lyse in modo ossequioso, ma non mi importava più… ormai …mentre ero lì, effeminato, al servizio della donna del signor Carlo.
Lyse fu come al solito naturalmente gentile. Senza l’intenzione di volermi ulteriormente imbarazzare, semplicemente declinò l’invito affermando sorridendo che ne doveva in effetti comperare un paio, ma era già d’accordo con Piero per il giorno seguente.
I miei occhi che già manifestavano gioia s’incupirono. Sentii su di me lo sguardo della commessa e solo a quel punto guardai in basso arrossendo.
“E poi…” aggiunse Lyse abbassando la voce nell’avvicinarsi a me “…se non ci sbrigheremo, non faremo in tempo a scegliere i nuovi collant…”.
Di fronte alla commessa mi sentii divampare, anche se ebbe l’accortezza di non precisare che erano per me. Aveva sentito? Ed ancora, non era allora una battuta quella di comprarmi nuovi collant?
A fine pomeriggio, dopo aver comperato in un altro negozio una camicia a fiori di tonalità pastello molto femminile, ci ritrovammo quindi all’interno di un negozio di intimo, dove badò a scegliere i collant, non prima di averne presi in considerazione vari modelli.
Non mi consultò neppure in merito alle decisioni, scelse lei, evitandomi così l’imbarazzo, a parte il fatto che, una volta scelto il modello, chiese la terza misura, ma la signora al banco non parve far caso al fatto che se fossero stati per lei avrebbe probabilmente dovuto chiedere la seconda.
Né Lyse volle umiliarmi facendo alcuna allusione. Tuttavia chiese una confezione regalo e questa volta pagò lei. All’uscita del negozio infilò sorridendo il pacchetto infioccato in uno dei sacchetti dove tenevo gli altri miei acquisti.
“…sono sicura sia il genere che piacciano a Carlo…” sussurrò con un sorriso, ammiccando e prendendomi sotto braccio.
Erano a righe orizzontali multicolori di tonalità prevalente rosa scuro come la camicetta.
Camminando a braccetto con lei, guardai per l’ennesima volta verso il basso, le sue calze nere, e sentii il mio sesso piccolo piccolo.
Ma il venerdì successivo a quello che lei e Carlo avevano trascorso in camera tutto il pomeriggio, fino a quando, solo a sera, uscì per congedarmi, dopo aver controllato i lavori, successe che ci provai nuovamente.
Quella settimana avevo pensato a Lyse tutto il tempo … era forse stato a causa del contatto fugace che, in cucina, aveva permesso avvenisse tra le mie labbra e il suo piede destro, mentre Carlo era in camera ad attenderne il ritorno … mi ero illuso che quella fosse una manifestazione d’amore verso di me, un gesto da amanti, un tradimento al suo uomo …
Ero euforico e durante la settimana non le telefonai solo perchè volevo mostrarmi forte, anzi ero quasi convinto che lei mi avesse cercato, magari di nascosto a lui, come aveva fatto sfilando il piede dalla pantofola da camera ed attendendo che in ginocchio poggiassi le labbra sulle sue dita smaltate, lasciando che, tra l’apertura della vestaglia, intravedessi parte della sua coscia mentre mi chinavo a renderle omaggio.
sicuramente mi avrebbe chiamato … mi illudevo…
sicuramente mi avrebbe voluto …
avrebbe tradito Carlo …
e poco a poco l’avrei convinta di nuovo ad accettare me …
Ma anche quella settimana non mi chiamò …
… Forse perchè non ne aveva avuta occasione, perchè Carlo era geloso e sempre presente …
Questo almeno pensavo …
Ma il venerdì successivo quando arrivai da lei all’ora stabilita ero caricato, convinto di essere voluto …
E infatti la vidi bellissima, più che mai.
Era forse una conferma dei miei convincimenti? Era così bella perchè aspettava me?
Indossava una casacca cammello, come se fosse appena rientrata… gonna scozzese corta, calze camoscio e stivali neri lucidi dal tacco a spillo… venne ad aprirmi la porta, continuando a parlare al telefono portatile.
Rimanendo in piedi senza distogliersi dalla conversazione, sull’entrata, mi fece cenno di accomodarmi …
Passandole accanto, raggiunsi il divano in sala, dove mi disposi, ad attendere, rimirando la sua bellezza. Attendevo che, terminata la telefonata, mi desse disposizioni sulle faccende da sbrigare quel giorno … magari rivelandomi anche che aveva nuovamente pensato a me, confermando le mie speranze del momento…
Mentre si muoveva cercavo di sbirciare lo spacco della gonna, lungo la coscia.
Non badava a me, faceva risolini, rispondendo divertita alle battute del suo interlocutore.
Volle scherzare rivolgendosi a me, alzando il tono di voce, mentre rimaneva in linea con lui , “…Ha detto Piero, quanto prendi all’ora … Dice che anche lui avrebbe bisogno di qualcuno per le faccende domestiche ….”
Lo chiese sorridendomi, suadente, con maliziosa dolcezza.
Capii che era Piero all’altro capo e che parlavano del fatto che ora fossi da lei per i lavori di casa.
Mi sentii umiliato e tradito, ma eccitato.
Forse era un gioco, continuavo ad illudermi, forse voleva mettermi alla prova…
Mi alzai per avvicinarmi a lei, così splendida … volevo toccarla … anche solo sfiorarla.
Forse stava aspettando la mia iniziativa, dovevo farmi coraggio, da uomo, anche se avevo i collant e le scarpe da eunuco.
Era chiaro che fossi sempre innamorato di lei…
Attendeva ancora la mia risposta quando timoroso le arrivai vicino. Molto vicino. Troppo?
Era irresistibile …
Le posai languida una mano sul fianco, con delicatezza non con decisione … come ad implorarle, amorevole e languido, un contatto.
In fin dei conti anche se avesse voluto me sarebbe stato chiaro il ruolo che per l’avanti avrei avuto con lei… sarebbe stata lei che, pur in minigonna, d’ora in avanti avrebbe portato i pantaloni…
Feci appena in tempo a posarle la mano sul fianco accennando a portare le mie labbra vicino alle sue per un possibile bacio che, prevenendo le mie intenzioni, mi colpì con una ginocchiata decisa precisamente in mezzo alle gambe, mettendo in tensione la gonna e le calze.
Sentii un violento dolore ai testicoli, rimasi senza fiato … soffocando l’urlo, mentre lei, senza distogliersi dal conversare con lui che per redarguirmi (“… non permetterti minimamente …”) mi fece quindi cenno di non proseguire oltre nelle advances e rimanere immobile.
Cercai di bloccarmi ancora barcollante per l’acuto dolore, pentito di quello che avevo appena cercato di fare, ma ormai era tardi…
“Sai, oggi non è in vena…” riprese a commentare con Piero al telefono.
Con le mani mi fece segno di voltarle le spalle, senza distogliersi dalla conversazione con lui.
Mi sentii tirare per un orecchio verso il pavimento perché mi mettessi giù, carponi, quindi mollò la presa sul mio orecchio, quando io ero ormai disposto sulle ginocchia e sulle mani, in silenzio. Capii di aver sbagliato tutto. Come avevo potuto farmi illusioni da un bacio sul dorso del piede quando ormai aveva conosciuto Carlo?
Adesso si muoveva con indifferenza attorno a me, nei suoi stivali neri, sfruttando le potenzialità del portatile, senza distrarsi dal dialogare con Piero: “… a volte penso che abbia ragione Carlo … e’ proprio come avere a che fare con un cane! … Se vuoi te lo regalo … altro che quanto prende all’ora! …” la ascoltavo replicargli adirata.
Poi parlarono anche di altro, un paio di minuti ancora.
Si accordarono per incontrarsi.
Con lui era molto gentile.
Sapevo che ora lui la canzonava per il rapporto che in passato aveva avuto con me … lui era un suo pari ed ora Lyse era cosciente del fatto che io non lo fossi, ne’ lo fossi stato, sicché Lyse gli era come riconoscente del fatto che lui già lo sapesse …
Avrei voluto essere Piero … col quale Lyse, sebbene non facesse sesso, non aveva problemi a scherzare, a parlare di Carlo e di me, a mostrarsi in gonna, ad uscire …
Nei miei pensieri non osavo calarmi nei panni del signor Carlo…ma almeno Piero… pensavo rimirando le ginocchia di Lysei n piedi di fronte a me …
avrei potuto almeno essere me senza cadere sempre nella mia inettitudine, nel mio non saper essere all’altezza del ruolo concesso, nel mio esserle ingrato.
Terminò amabilmente il colloquio senza più darsi cura di me, mentre io immobile attendevo. Avevo le sue ginocchia all’altezza del mio sguardo quando, salutando Piero, disse a me che avremmo dovuto chiarire alcune cose. Mi lasciò così carponi sul pavimento …
Doveva entrarmi in mente, primo, che non avevo alcun diritto ad importunarla … secondo, che lei era di Carlo … terzo, che il mio unico possibile ruolo con lei era quello che avevo allora.
Ne aveva abbastanza dei miei continui assalti, ero proprio come un cucciolo da addestrare, come pensava Carlo, ed ero probabilmente single non perchè avessi scelto fedeltà univoca a lei, come le avevo detto una volta orgoglioso, ma perché se, anche avessi voluto, non avrei trovato nessuna in grado di sopportarmi.
Avvertii anche un po’ di risentimento questa volta, ma in fondo c’era del vero nelle sue affermazioni: ero stato io ad importunarla di nuovo.
Senza sapermi spiegare il perché, pensavo che stesse seguendo i desideri di Carlo, umiliandomi. Ma questo ormai lei voleva in libera scelta, ed io in libera scelta potevo accettare di vederla n quel modo, da colf, od allontanarmi da lei.
Stavo in silenzio ad ascoltarla, pentito della mia iniziativa.
“… Possibile che tu debba sempre farmi pentire di permetterti una qualunque cosa, senza che poi debba abusare della mia confidenza?” – ribadì – vattene ora. Lo saprà anche Carlo e se ci riproverai anche solo un’altra volta dimentica di potermi anche fare da colf “.
Mi accompagnò all’uscita tirandomi per un orecchio, carponi.
“… E poi smettila, di toccarti per me … anche da solo …” – mi disse aprendo la porta – “ … non voglio che tu lo faccia”.
Poi, con tono comprensivo e complice come a persuadermi che prendesse tale decisione per il mio bene aggiunse “diventerai un debosciato”.
Mi lasciò l’orecchio dopo avermi disposto sul pianerottolo e chiuse la porta senza aspettare che mi alzassi.
D’altronde, nei miei confronti, “guardare ma non toccare” era ormai diventato l’unico modo per frequentarla.
Aveva già messo le cose in chiaro dall’inizio: mi accettava purché non avessi più alcuna aspettativa sessuale da lei.
Dovevo sentirmi solamente l’uomo delle pulizie, come aveva permesso Carlo.
Non tollerava che non tenessi le mani a posto, sui piatti o sugli strofinacci.
In quel caso, ma solo in quel modo, mi apriva la porta di casa. Purché non mi illudessi.
Era chiaro che lei ormai considerava i miei tentativi di approccio non da ex fidanzato bensì da persona al suo servizio.
Risultavo cioè ai suoi occhi un sissi, meglio una sissy maid che ci provava. Così mi faceva sentire. Un eunuco. Ma in fin dei conti era solo onestà …
Ed io cosa potevo sperare?
Che avesse permesso di nuovo di farsi toccare da me?
La settimana successiva mi ripresentai da lei temendo che non mi aprisse, non avevo avuto il coraggio di cercarla dopo l’offesa. Invece non fece cenno alla cosa… lei era così. Chiariva le cose ed a quelle disposizioni dovevo attenermi, senza indugi… come lei sapeva fare con Carlo. Anche in questo mi mostrava la sua superiorità: quel che lei faceva per il suo uomo, io non sapevo fare per lei… ero tutto chiacchiere e promesse..
“Sai, venerdì scorso dicevo sul serio …” mi mise al corrente “… ricordi che Carlo, all’inizio, aveva detto che potevi venire due volte a settimana, da me, per le pulizie? Bene, siccome da me ci vieni solo il venerdì, l’altro giorno mi piacerebbe che tu andassi da Piero e Cristina …” mi informò con tono suadente …
Voleva convincermi davvero ad accettare di servire i suoi amici, o meglio i nostri ex amici.
Riprese in quel modo il discorso del venerdì precedente…
Con Piero e Cristina, nostri coetanei, a volte in passato eravamo, infatti, usciti da fidanzati, in coppia …
Cristina era una ragazza molto bella, dello stesso ceto di Piero e di Lyse. Con lei non avevo molta confidenza. Mi considerava inferiore e mi sopportava soltanto perché ero incidentalmente il ragazzo di Lyse.
Con lei avevo sempre provato la sensazione strana di risultare antipatico ad una ragazza che si trova simpatica, dai modi dolci e raffinati e dai lineamenti delicati.
Insomma ero al corrente che Cristina mi considerava una “O”.
“… In fin dei conti, anche se non ne abbiamo più parlato …” mi propose Lyse “… era contemplato nell’accordo che hai accettato di sottoscrivere, quando temevi addirittura di non poter neppure più vedermi …”.
Lo disse dolcemente persuasiva, ma me lo rinfacciò. Nel contratto di subordinazione che avevo firmato era precisato che lei e Carlo avessero potuto cedermi ad altri…
Rimase per un attimo in silenzio, finchè riprese
“… Ma se non vuoi lascia perdere … Anche da me, in fin dei conti, puoi smettere di venire …”. Lo aggiunse con indifferenza, quasi a lasciar cadere la proposta…
“Cosa dovrò fare da loro?” chiesi con timore che se avessi rifiutato avrebbe potuto decidere di terminare per sempre la storia con me.
“Le stesse cose che fai qui …” affermò dissimulando indifferenza ma sentendo di avermi sempre più nelle mani.
“Ne avete già parlato?” chiesi con un po’ di preoccupazione.
“Piero sa che ti faccio venire qui, ma solo per svolgere le faccende domestiche … e sa che io amo Carlo. Ma lui, un po’, continua ugualmente a corteggiarmi. E’ molto simpatico, Piero, sai?, Da quando ti ho lasciato ho avuto modo di frequentarlo un po’più di prima e me ne sono resa conto. Anche se sta con Cristina non vedrebbe l’ora di portarmi a letto, ne ha sempre voglia. Eppure, da quando sono venuta con te sembra tirarsela. Come se venendo con te, mi fossi contaminata, fossi anch’io divenuta inferiore a lui. Ovviamente scherza, ma a volte sembra che mi faccia la corte come ad una servetta. A volte penso che se mai dovessi tradire Carlo lo farei con Piero. Anche solo per vedere se con Piero sarebbe davvero così figo scopare, come afferma lui. a credo che per me sia impossibile concepire di tradire Carlo, sicché voglio dare a Piero una differente dimostrazione. Voglio vedere se continuerà a tirarsela anche dopo che ti manderò da lui a servirlo. Sai che lui ha sempre pensato che io e te non fossimo una coppia ben assortita, se così si può dire, sebbene, quando stavo con te, non l’abbia mai fatto presente, per non intromettersi nel nostro rapporto. Dice che già immaginava che tra di noi sarebbe finita in questo modo. Ed e’ già da giorni che, scherzando, mi chiede se posso prestarti un po’anche a lui … dice che anche Cristina non è portata all’ordine in casa e gli occorrerebbe un aiuto. Come Carlo pensa di me. E’ per questo che Carlo ha permesso che tu mi riveda, lo sai …
In questo Piero assomiglia un po’ a Carlo, anche se non ne ha certo l’esperienza ma è per questo che un po’ mi piacerebbe scoparmelo e certo l’avrei fatto se non ci fosse stato Carlo. E ieri, sapendo che oggi ti avrei visto, mi ha comunicato di averne parlato anche a Cristina. Dice che lei ti accetterà. Cristina gli ha detto che magari un giorno ti vorrà con la gonnellina al ginocchio, in divisa…” le venne da ridere, prima di continuare, “…ti vorrebbe la domenica pomeriggio. Non so se sia perchè magari quel giorno ricevono amici o devono uscire o solo se perchè sia un loro capriccio optarti la domenica … una specie di messa in prova. Anche se so che è un giorno di festa mi piacerebbe che tu accettassi… Tu, in fin dei conti, sei sempre stato abbastanza informale. Accetteresti ugualmente?” terminò aspettando risposta.
Formulò la domanda come se non fosse tanto in dubbio che accettassi, bensì che avessi potuto trovar da ridire sul fare loro i lavori di domenica.
Presi atto che Lyse si stava trasformando sempre di più … tornava a pensarla come le altre persone di quell’ambiente, da cui si era temporaneamente allontanata per flirtare, da studente, con me. Voleva inviarmi a far loro i lavori per dare a Piero dimostrazione che non fosse come me.
Sedeva, attendendo le mie decisioni, la gonna le arrivava sotto alle ginocchia, più lunga di quelle che ormai era solita indossare, aveva un paio di stivali.
Quella volta non ritenne di dovermi mostrare alcuna parte del suo corpo.
Tranquillamente mi chiedeva un atto di pura subordinazione, senza concedere alcunchè in cambio, neppure mostrare le gambe.
Pensai che sicuramente anche Carlo fosse stato al corrente della proposta.
“Se non accettassi potrei comunque continuare a venire qui, il venerdì?” chiesi per avere le ultime rassicurazioni, prima di decidere.
Mi guardò sorridendo ma non rispose.
Credo che l’avrebbe ugualmente permesso, ma non rispose e ribadì la sua domanda “accetteresti ugualmente?” …
“Sa tutto di me?” insistetti io.
“Ti ho già detto quello che sa …” ribattè un po’ seccata, visto che non mi decidevo a darle risposta “ …credeva davvero che ti pagassi all’inizio per venire a tenere in ordine. E’ per quello che ancora ogni tanto fa battute su quanto prendi l’ora … ho avuto da fare a convincerlo che sei qui perchè lo ha deciso Carlo e non sono ancora sicura che ci creda”.
Capii che era stanca di discutere della cosa, ora attendeva la mia risposta, accettavo o non accettavo.
“Lo farò…” dissi.
Me lo chiese così; con semplicità e io accettai.
Mi fece sentire come se stesse prestando un oggetto.
“Perfetto, Sissi” affermò lei felice “… glielo riferiremo subito … a proposito scusami se la volta scorsa ti ho detto che eri un cane, ma mi avevi fatto spazientire”.
Si accinse a telefonare.
Rispose Cristina.
Si accordarono che avrei cominciato dalla domenica successiva, alle due e mezzo del pomeriggio. Puntuale. Così avrei fatto a tempo a lavare le stoviglie e prendere le consegne, se loro avessero voluto uscire.
Poi lasciò che pulissi casa, ritirandosi in camera come al solito.
La sera a lavori ultimati mi congedò.
“Allora domenica sei da Cristina …” mi ricordò, “… venerdì prossimo, mi racconterai come è andata”.
Oltre a Carlo ora ero quindi divenuto, per Lyse, subalterno anche a Piero.
Avrei dovuto già averlo intuito quell’ultima volta che mi aveva portato a rinnovare il guardaroba, confessandomi che il giorno seguente sarebbe uscita con lui a scegliere gli stivali.
Era evidente che ormai lei mi pensasse solo in collant a pulirle casa, in sua presenza, quando ero il suo colf, o, come diceva Carlo, il suo cagnolino.
Eppure con Piero continuava ad uscire, anche se rimaneva la donna di Carlo … con me no; sotto quell’aspetto con me aveva chiuso. Ed ora avevo scoperto che lei con Piero, se non ci fosse stato Carlo, le sarebbe piaciuto scopare….
La domenica pomeriggio capii subito che sarebbe stata un’altra storia: mi fu chiaro fin dal principio.
La prima domenica che mi recai da Piero e Cristina, alle quattordici e trenta in punto, trovai la porta socchiusa, bussai ed entrai chiedendo permesso.
“Entra pure …” riconobbi la voce familiare di Cristina.
Entrai. Era bellissima, sola in sala, seduta in poltrona, ad usare distrattamente il telecomando della televisione.
Indossava un tailleur con knickerbocker ed una cintura lentamente allacciata sopra la maglia, con strass, all’altezza dei fianchi … sembrava la ragazza più dolce del mondo.
Non fece caso più di tanto a me, rimanendo disinvoltamente distante, sapeva che andavo da loro come servo..
I pantaloni, a mezza gamba, facevano risaltare sui polpacci le calze in seta blu brillanti. Indossava eleganti scarpe con tacco e fibbia.
Teneva una gamba incrociata sul divano e l’altra appoggiata al pavimento …
Comparvi in sua presenza ed abbassai lo sguardo.
Non pensavo che di dover abbassare lo sguardo in occasione della mia presentazione a lei in nuove vesti.
“Stiamo per uscire …” disse, continuando a far poco caso a me “… in cucina ci sono i piatti, poi dovresti sbattere il tappeto di qui, fare i pavimenti e cambiare il letto. Le lenzuola sono nell’armadio assieme alle federe. Saremo di ritorno verso le cinque. Se dovessimo tardare puoi fare anche i vetri di casa. Gli attrezzi per le pulizie li trovi in parte in bagno e in parte sul terrazzo”
In quel mentre comparve Piero, stava uscendo dal bagno: “Oh Sissi …” accennò verso di me fingendo stupore e dissimulata cordialità. Ora sapevo che, al di là dei suoi modi cordiali, pensava a me come un sub. Non avrebbe esitato due volte a portare Lyse a letto, nonostante in passato fossimo stati, almeno in apparenza, amici comuni. Nonostante la raffinata sensualità di Cristina (anche lei amica di Lyse). Come poteva Cristina non saperlo? O magari ne era a conoscenza? Anche lei parte di quel gioco che mi sembrava crudele ma nelle cui spire ero avvolto?
“Gli ho già detto io” lo prevenne Cristina, alzandosi dal divano per avvicinarsi a lui, alludendo ai compiti appena illustrati.
Tornai ad abbassare lo sguardo al bordo dei pantaloni di lei, appena sotto le ginocchia. Ebbi la sensazione di non ricordare quanto sexy fossero i suoi polpacci in movimento.
Molto magra, appariva, sui tacchi, della mia altezza (Piero era un po’ più alto).
“Non avrai esagerato …” commentò lui, canzonandola.
“Ho esagerato? Rispondi Sissi” ordinò Cristina senza rivolgermi lo sguardo, avvicinandosi a lui.
“No, signora. Non ha esagerato” risposi flebilmente, bloccato sul posto, lo sguardo in basso “… e’ un piacere per me poter essere utile così come desidera Lyse ….
“Visto?” gli sussurrò lei, porgendogli un bacio sulla guancia, mentre con la mano gli carezzava l’altra guancia, “… e Carlo …” aggiunse correggendomi , “… come vogliono Lyse e Carlo” ribadì freddamente Cristina.
“Al posto di Sissi non starei tranquillo avendo te come datrice di lavoro anche se il tuo visino potrebbe ammaliare” le bisbigliò Piero carezzandole un fianco per portarla, blandamente, più vicina a sè.
“Sù vai…” disse lei facendo un gesto a me.
Era fin troppo.
Così cominciò il mio “rapporto di lavoro” (perché di questo ebbi l’impressione che si trattasse fin da subito).
Quando ero da Lyse, vi era una certa complicità: lei comprendeva i miei desideri pur ritenendoli vietati. E’ vero che un paio di volte avevo ricevuto ceffoni, ma erano sempre parte del gioco o della realtà che entrambi avevamo accettato. Il più delle volte permetteva che io sbavassi per lei, anche se nulla di più, e col dovuto contegno. Ammetteva che io la guardassi, purchè non prendessi iniziative
Invece con Cristina niente: assolutamente non si dava pensiero per me.
Ero lì a farle da colf; anzi diciamo pure a servirla in casa, come un famulo, un servitore di altri tempi.
Con lei nessuna implicazione sentimentale.
Dava per scontato che le fossi servo e nulla più. Nessuna complicità.
Quella prima domenica mi lasciarono solo a pulire loro casa.
Cristina mi telefonò alle sette, sul mio cellulare, di cui, evidentemente si era fatta dare il numero da Lyse.
“Sono Cristina” disse appena sentì la mia voce “rimaniamo fuori a cena. Fra mezz’ora lascia la casa tirandoti dietro la porta. A domenica prossima. A proposito, hai fatto anche i vetri?”
“Si signora” risposi docile.
“Bene” mi informò “ora finisci e poi vai. A proposito, Lyse ha detto di farti gli auguri, il tuo primo giorno di lavori da altri”
Intuii che quel primo giorno di mio servizio da loro, l’avessero incontrata; magari era lì anche ora, con loro; con il signor Carlo.
Il successivo venerdì fui di nuovo da Lyse.
Mi aveva chiamato subito dopo pranzo dicendomi di presentarmi a da lei non alle tre come al solito ma verso le cinque.
Quando arrivai da lei, indossava una camicia in seta disegnata e minigonna in raso di tonalità rubino. Le rimirai le gambe tutto il tempo, mentre attendeva che facessi i lavori.
Lavorai solo un paio d’ore per cui cercai di mettere in ordine svolgendo le faccende più velocemente del solito.
Ad un certo punto, notò che la sbirciavo, mentre era uscita dalla camera per andare in cucina.
Passò dal salotto, mentre finivo di pulire il tavolo cromato in acciaio, si sedette un attimo al divano e fu comprensiva: allungando una gamba orizzontalmente verso di me chiese ”Ti piacciono?”…
“Sono le gambe più belle che abbia visto …” risposi.
“Scemo! Intendevo gli stivali …” precisò.
Li osservai: erano stivali dal tacco alto, colore nero lucido, con fibbie eleganti alle caviglie, che già avevo notato quando entrai.
“Sono quelli che ho comperato con Piero il mese scorso, mentre passeggiavamo in città quando era ormai l’ora di chiusura dei negozi. Piero li ha visti in vetrina ed è rimasto folgorato:
‘Bellissimi! Guarda … chissà come ti starebbero’. Mi ha convinto ad entrare mentre l’ultimo commesso stava già spegnendo le luci per chiudere il negozio. Secondo Carlo sono fatti per sentirsi puttana, costano 520 euro scontati …”
Mi lanciò un’occhiata per capire se avessi capito: che erano fatti per sentirsi puttana od il costo?
Poi, sdrammatizzò: “quando li rimetti in ordine, dovrai farci più attenzione che agli altri”, scherzò complice.
Quella stessa sera mi comunicò che, terminati i lavori in casa, sarei rimasto a cena con lei e Carlo. Ero invitato.
Fui felice di accettare, anche se mi non mi trovavo certo in abiti adatti.
Lei, come se già non fosse abbastanza elegante, si cambiò e ricomparve di fronte a me con una minigonna-tubo in pitone con spacco posteriore e fila di bottoni-strass ed una camicetta leggera scollata, calze a rete chiare e quegli stivali alti che la facevano sentire puttana per lui.
Mentre metteva un foulard di seta tinta al collo, mi disse di smetterla coi lavori.
Era ora di uscire, stava arrivando il suo uomo a prenderci.
Indossò la giacca-paltò in pelle nera, come gli stivali, ed uscimmo.
Io ero in jeans sopra i collant, dolcevita, scarpe da eunuco e montgomery.
Sul marciapiede, sotto casa sua stavamo aspettando l’arrivo di Carlo.
Non potevo che pensare come fosse cambiata completamente anche nel vestire da quando era stata fidanzata con me.
In pochi mesi si era trasformata.
E non pensavo che quegli abiti, costosissimi, fossero regali di Carlo perché Lyse era benestante ed avrebbe potuto permetterseli di suo. Semplicemente quando stava con me non li indossava, forse per non mettermi in difficoltà .
Ora che stava con un uomo pari a lei poteva mostrarsi, farlo impazzire.
Appena giunse la macchina percorse sorridendo i pochi metri di marciapiede che la separavano dal suo uomo; il solito rumore dei tacchi, inconfondibile, anche i miei facevano rumore…
Carlo scese dalla macchina, ad attenderla, semplicemente la scrutò avvicinarsi a lui, osservò e prese appena atto della mia presenza.
Attese che Lyse gli porgesse le labbra, sfiorando le sue. Nel far questo si alzò leggermente sui tacchi, ed il mio sguardo non potè che tornare furtivo verso il bordo della minigonna cercando di cogliere l’orlo delle calze. Fu inutile. Aveva troppa classe per permettere che un gesto scomposto rivelasse ciò che riservava all’intimità di tempi, luoghi e persone adeguate. Mi sentii inadeguato ed udii il signor Carlo che le sussurrava qualcosa che non saprei dire se voleva sentissi:
“Mi auguro che stia facendo progressi. Dopo cena gli insegnerai la frusta.. Domattina esigo che ne conservi il ricordo sulla schiena”.
Lei si avvicinò al suo corpo languida, sembrava volersi strusciare su di lui, mentre con le labbra scese delicatamente sul suo collo rispondendo “farò in modo che conservi i segni della frusta con orgoglio … penserò a te, tutta la sera mentre lo farò…voglio che tu sia soddisfatto di me…”.
Fui quasi totalmente escluso dai loro discorsi a cena, al ristorante Vittoria.
Decisero le portate senza mai consultarmi, sì che, non interpellato, non osai proferire parola.
Forse appariva, agli avventori del locale, il caso di pensare che io fossi una specie di segretario del signor Carlo e la ragazza stesse discutendo di affari col capo.
Forse sia io che Lyse fummo scambiati per suoi dipendenti.
Lyse era sorridente e compiacente solo verso quel signore, decisamente più grande, che me l’aveva portata via. Non badava, in mia presenza, a nascondere gli sguardi devoti che gli rivolgeva. Era la prima volta che trascorrevo un’intera serata assieme a loro e capii quanto forte fosse il legame che li univa.
Nessuno degli avventori poteva sapere che Lyse indossava gli stivali per lui, le autoreggenti e la mini in pitone per lui, ed io avevo i collant per lei, come voleva lui, che, dopo avermela portata via, me la mostrava in quel modo, per il battesimo della frusta.
Pensai che il mio posto avrebbe dovuto essere sotto il tavolo, ranicchiato ai piedi di Lyse, o del signor Carlo, tra gli stivali di Lyse e le scarpe nere del signor Carlo, giusto a metà. Mi immaginai nudo in vestaglia rosa…
Ad un certo punto mi chinai per raccogliere una posata distrattamente caduta a Lyse, mentre lei era presa dal colloquio con Carlo, anche questa volta mentre mi chinai cercai con lo sguardo sotto la sua gonna. Lui mi riprese in modo deciso mentre ancora avevo gli occhi sulle ginocchia di Lyse e di nuovo agli stivali. Stavo rialzando il busto, con l’intenzione di tenere per me la forchetta caduta e porgere a lei la mia, non ancora usata.
Aspettavo quasi un cenno di minimo formale ringraziamento.
Invece lui mi corresse duramente:
“D’ora innanzi, quando cogli qualcosa per la tua padrona, sollevi il culetto dalla sedia, ti alzi in piedi, poi ti abbassi portando un ginocchio sul pavimento ed in quel modo la cogli e la poni sul tavolo, aspettando un suo cenno, prima di alzarti di nuovo per tornare al tuo posto, chiaro?”
“Si, signor Carlo” risposi sussurrando mentre lui, guardandomi decisamente negli occhi mi aveva afferrato un polso con la mano.
“Scusi signora” bisbigliai a Lyse, che sorrise a lui, senza considerarmi.
“Perdonalo, non è mai stato educato” gli sussurrò.
Tubavano…
Mi trovavo in loro compagnia solo perché Carlo aveva deciso che dopo cena Lyse avrebbe dovuto imparare ad usare la frusta su di me.
Ero lì ad attendere che Lyse lo compiacesse.
Al ritorno, giunti di fronte al portone di casa, Lyse scese e si portò dal lato di Carlo, che, rimanendo al posto di guida, semplicemente aprì la portiera. La salutò, non prima di averle parlato per un paio di minuti, lasciandola in piedi, carezzandole le ginocchia e le gambe, lui continuava a stare seduto al posto di guida ed io ero un paio di metri più in là, in attesa…
Poi richiamò indietro me: “Sissi … stasera potrai dormire da lei … sei contento?”.
“Si, signor Domino, la ringrazio per concedermi di fermarmi a casa della signora” risposi.
Lyse si avviò verso il portone ed io la seguii dal dietro.
Salii le scale dietro di lei, con lo guardo fisso ai suoi tacchi, alla parte di gambe scoperta tra gonna e stivali, come fosse ordinario che mi portasse al castigo, senza rivolgermi parola.
Sembrava che per lei non ci fossi.
Pensava a Carlo.
Entrò in casa e, ripose il paltò. Poi, allentando il foulard, si accomodò sul divano, accanto ad un frustino su cui era appeso un fiocco rosa …
Sembrava una confezione-regalo, lasciata sul divano.
Ricordai che qualche attimo prima di uscire aveva ricevuto la telefonata di Carlo, che doveva averle suggerito di prepararlo in bella vista per l’occasione, al ritorno.
Dopo alcuni secondi di relax si alzò e dolcemente mi rivolse, solo allora, la parola:
“Se vuoi, per aiutarti a sopportare, posso metterti questo”.
Mi mostrò il foulard e senza attendere risposta me lo pose lentamente tra i denti, stringendo forte dietro la nuca.
Avvertii sul foulard il solito bulgari, evidentemente il profumo già da allora era stato deciso per sempre. Era quello che usava quando stava con me e che anche io le avevo regalato una volta.
Lo sentii nella seta, stretta in bocca, riempirmi le narici, mi parve di essere tornato indietro nel tempo, eppure tanto era cambiato.
“Cercherò di non riferirgli che tu l’abbia dovuto usare” continuò stringendo il nodo dietro la nuca. Poi mi ordinò:
“Spogliati, lascia solo i collant, sdraiati in terra sulla pancia, volta la testa da un lato e stendi le braccia lungo i fianchi con il palmo delle mani rivolto verso l’alto”
Chiese se fossi pronto
In quel momento ricordai il modo in cui baciava … una volta, quando eravamo più intimi, mi aveva provocatoriamente confessato che baciare e fare dei pompini secondo lei era un po’ simile.
Pensai con nascosto desiderio ai baci che probabilmente scambiava col signor Carlo.
Risposi, con dignità, di essere pronto e lei cominciò.
Sapevo di doverglielo se così avevano deciso.
Mi colpì con decisione la schiena e le natiche, intervallando i colpi, paziente, passeggiando attorno al mio corpo con studiata lentezza, lasciando che riprendessi coscienza tra un colpo ed un altro, attendendo che terminassi di dimenarmi e mugulare nel foulard, che mi disponessi di nuovo ordinatamente nella posizione richiesta. Ero io che, senza bisogno di parole, le dovevo chiedere un nuovo colpo. Lo capiva, era solo quando mi ero nuovamente disposto in posizione che sferrava un nuovo colpo, lasciandomi nuovamente il tempo di riprendermi, passeggiando sui tacchi attorno a me, finche non fossi di nuovo pronto… sempre più forte… il dolore … i tacchi …
Il dolore … le sue ginocchia … non oltre … il profumo … la sua voce calma “al posto” … la frusta … la nebbia … i tacchi … “AL POSTO!” …la stanza dove mi faceva fare i lavori…. le visioni al ristorante … le ginocchia … il rumore dei tacchi attorno a me…. il dolore … l’umidità delle ferite sulla schiena…. il contatto della pancia col pavimento … il dolore… l’amore che provavo per lei… il pensiero dei baci con Carlo… glielo aveva promesso… dovevo trovare la forza di resistere… farlo per lei … così sessualmente distante in mini e stivali per lui ….
Ero ormai sul punto di perdere i sensi, quando lei mi si pose davanti, piegando le ginocchia, per abbassarsi verso di me, come a sedersi sui propri talloni, la minigonna stretta e le gambe piuttosto unite perché non potessi scorgere le sue gioie … non dovevo neppure pensare a sbirciare in quella che era riserva di Carlo, anche quando era sola con me.
Mise due dita sotto il mento, perché la guardassi negli occhi, un misto tra distacco ed intimità.
Mi venne di pensare a Carlo. Forse lo capì.
“Per questa volta basta. Sei stato carino… stasera” mi disse “sono orgogliosa di te”
“Preparati ora, è tardi, devo telefonare a lui” aggiunse.
Guardai le sue gambe dal dietro mentre si allontanava per chiamare il suo uomo, lasciandomi lì. Ero sfinito sul pavimento ma oltremodo orgoglioso.
Riconobbi in lei il diritto di essermi padrona.
Era giusto che avesse il signor Carlo.
Volevo che il signor Carlo la avesse.
Non l’aveva deluso.
Volevo servirla.
Quando raggiunsi il bagno i collant erano sfilati in più punti, la pelle era rotta in più punti, mi denudai e lavai.Avevo ormai terminato quando mi sentii chiamare da camera sua.
La raggiunsi e notai che era seduta sul letto, un gomito appoggiato alla testata imbottita, l’altra mano sulla gonna, il cui bordo era risalito molto vicino alle anche.
Era tanto che non mi permetteva di accedere, così intimamente in camera.
La luce, familiare e soffusa, proveniva dalle due lampade a parete schermate da eleganti veneziane poste sopra la testata del letto.
Era ammaliante la sua immagine seduta sulle lenzuola in raso e la leggera coperta in lana tessuta a mano.
Era la stanza dove riceveva Carlo e dove di solito si ritirava quando, i venerdì, le ordinavo casa.
Raramente permetteva che ci entrassi, e quando lo permetteva era sempre presente. Ormai ero quasi soggiogato da quell’ambiente.
Anche lei era intima: continuava ad indossare la camicia, che ora era quasi completamente sbottonata, e la gonna stretta in pitone, ma aveva i piedi nudi.
Le calze (ebbi così la scontata conferma che indossasse reggicalze sebbene, con classe, in tutta la serata non l’aveva mai fatto notare) erano state lasciate sulla moquette bordeaux, vicino agli stivali e al perizoma in pizzo, che sbirciai, subito sorpreso da lei, come un bimbo con le mani nella marmellata.
Certo, come al solito, dovevo aspettarmi che non fosse disposta ad esibire a me il suo corpo, più di quanto non fosse necessario.
Ma quella notte lasciava intuire tutta la sua intimità.
Pigramente, allungandosi all’indietro, portò la schiena sul letto, flettendo un ginocchio, senza scomporre più di tanto la gonna, indicandomi, con lo sguardo, il piede le cui unghie erano dipinte d’argento.
Non disse nulla. Distrattamente con gli occhi mi seguì, mentre, attratto come un insetto dalla luce, mi accingevo ad appoggiarvi le labbra cercando di scorgerle il sesso tra la gonna.
Poi mi avvertì con dolcezza “piano coi denti … non voglio che si sciupi lo smalto … e poi metti questi …” e, dall’alto, mi allungò una confezione nuova di collant tutti rosa …
Ormai lei era l’uomo e io la donna.
Mi faceva sentire castrato e mi regalò il terzo paio di collant.
Mi sentii di nuovo in brodo di giuggiole vicino a lei. Attese che li indossassi e mi disponessi nuovamente sulle ginocchia…
Permise anche alcuni delicati massaggi alle gambe, rilassandosi, fin quando con la lingua arrivai all’altezza del ginocchio. Allora, portando un piede sopra la mia testa mi spinse nuovamente in basso, riprendendomi: “no, sopra non puoi e non sbavare, sembra che mi stia facendo un bidet alle gambe. Annusami”.
Tornai quindi verso il basso, ritirando la lingua, badando a poggiare solo le labbra. Dovevo attendermi che sopra le ginocchia fosse “zona proibita” per me. Cercai di portare lo sguardo timidamente verso il suo volto, ma notai che mi stava fissando ad occhi semichiusi, sicchè capii di dover nuovamente abbassare gli occhi, ai suoi piedi , ora così vicini.
“Sai … Carlo la settimana prossima compie 48 anni. Come regalo di compleanno mi ha chiesto BEA. La convincerai, vero?” mi chiese con tono suadente, distogliendomi, per un attimo, dalle sue stupende gambe ancora fuori dal letto.
Mi porse due dita sotto il mento, perché la guardassi dal basso, attendendo una risposta, distogliendomi un attimo dalla sua adorazione.
“Vero?” chiese di nuovo.
“Ma …” balbettai.
Mi colpì con uno schiaffo violento, continuando fermamente a fissarmi.
“Ti basta una settimana per convincerla?” chiese senza scomporsi, “… la prossima settimana andrò in vacanza a Marilleva con Carlo. Pensi che siano sufficienti questi dieci giorni? … dimmelo, voglio comunicarlo subito a Carlo”.
Mi lusingò, alzò un piede tra le mie labbra, attendendo che le dischiudessi, il suo alluce si appoggiò sulla mia lingua, senza forzare. Attese di sentire la mia lingua nell’incavo tra l’alluce ed il secondo dito.
“…la inviterai a cena, e cercherai di convincerla. Dovrai indossare i collant che hai ora mentre lo fai…è per immedesimarti nella parte… pensa a Carlo mentre le spieghi che io ti ho chiesto di offrirla come regalo a lui….” .Con le dita del piede mi stringeva la lingua parlandomi… poi rilasciava la presa muovendo l’alluce dentro la mia bocca come se mi stesse penetrando…mi lisciava il bordo dei denti, parlando cercava il contatto con le gengive… come se volesse far entrare il piede dentro di me… “…falle mettere molto rossetto… a Carlo piace il look da puttana. Gli piacciono le tracce di rossetto sul sesso”
Pronunciai “sì” tra le sue dita dei suoi piedi. Mi stava dressando. Per Carlo.
Mi tirò la lingua fuori dalle labbra afferrandola tra le dita dei piedi. Strinse per tenermi fermo, mollandomi un’altra sberla…
“… si cosa?” chiese severa…
“Si signora Lyse, lo farò per il signor Carlo… “ biascicai tra le sue dita..
Quindi mollò la presa, distogliendomi da lei, allontanandomi con la pianta dei piedi sul mio volto, risistemando la gonna.
“ok, basta, è ora di cuccia… “, sorrise, cercando la cornetta “ Alzati e aspettami di là, ora gli darò la notizia”.
Aveva ottenuto il mio impegno.
Notò, mentre uscivo da camera sua, che sbirciavo di nuovo il suo perizoma sul tappeto.
“Puoi tenerlo con te finchè non ti raggiungo di là … anche le calze … sono da lavare, ma fai attenzione a non lasciarci sopra macchie”.
Lei ormai era donna del signor Carlo.
Attese che raccattassi il suo intimo e richiudessi la porta alle spalle per cominciare a parlargli, confidenziale.
Su quel tappeto, ai suoi piedi, aveva definitivamente annientato il mio orgoglio maschile… se ancora ne avevo.
Le sue mutandine, erano umide. Fui orgoglioso pensai di aver avuto conferma che le era piaciuto: ma era stato per me o per Carlo?
Mi distesi sul divano così com’ero in collant rosa, avvertendo ancora chiaro il bruciore dei segni della frusta sulla schiena. Lei mi raggiunse, col portatile, stava ancora parlando con lui …
Notò le sue mutandine sul cuscino e sorridendo mi porse il telefono: “Devi essere tu a dirgli di volergli regalare Bea”.
Si sedette sul letto-divano accanto a me sdraiato.
Scoprì le lenzuola, prese atto che avessi indosso i collant rosa e allentando la vestaglia scoprì un seno, lo impugnò dal basso con la mano e guidò il capezzolo sulle mie labbra, porgendomelo.
Concesse che lo leccassi solo una volta, poi lo ricoprì e mi porse la cornetta. Non accennò al suo uomo di quel gesto. Lyse sapeva mostrarmi gratitudine quando mi vedeva devoto. Le leccai il capezzolo cercando di trasmetterle amore…
Mentre parlavo al suo uomo, mi tolse le lenzuola di dosso.
Parlai col signor Carlo sdraiato e scoperto, nudo in collant, accanto a Lyse, che, dopo aver richiuso la vestaglia sui seni, allungandosi, origliava alla cornetta, curiosa. Indossava una vestaglia trasparente abbastanza per lasciar intuire che non indossasse mutandine, ma non abbastanza per mostrare il suo sesso.
Attese che parlassi col signor Carlo, tenendo la testa bassa, lo sguardo verso i suoi piedi.
Attese che terminassi e quando sentì che rispondevo “Buonanotte signor Domino” staccò la comunicazione, togliendomi il telefono dalle mani.
Si alzò, mi ricoprì col lenzuolo, poi raccolse le sue mutandine e le calze di seta, che mi aveva donato per quei pochi minuti. : “basta… ora fai nanna!”.
Se ne andò dopo aver spento la luce, chiudendo la porta, lasciandomi al buio.
L’ultimo mio sguardo fu ancora rivolto all’argento.
Lei andò a dormire, contenta di averlo esaudito.
Al ritorno dalla loro vacanza Bea sarebbe stata il regalo di compleanno di Carlo … con molto rossetto … come aveva suggerito Lyse. Pensai che avrei dovuto offrirgliela in mini inguinale. Ormai conoscevo i gusti del signor Carlo… e non dovevo deludere le aspettative di Lyse.
j.velvet@libero.it

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