Un buon uomo: De Sade

Da molti anni cullo il progetto di un saggio su De Sade. Sarà il centesimo o meglio il millesimo della serie perché nessun personaggio ha avuto tanti libri e trattati incentrati sulla sua persona come De Sade.
Ma il mio dovrebbe essere il conclusivo (ahh la presunzione umana non ha confini), quello che mette la pietra sopra e chiarisce una volta per tutte cosa egli volessero dire con i suoi romanzi, con i suoi personaggi intrisi di quella malvagità che ha contribuito a creare termini entrati ufficialmente nei vocabolari di tutte le lingue come sadismo e suoi derivati.
Ma il tempo manca sotto i piedi e De Sade attende. Egli mi guarda con occhio ironico da lassù, perché, se Paradiso esiste, un piccolo posticino per lui, seppure peccatore incallito, ivi non può
mancare. Un buon uomo, una vittima della cattiveria umana e dei potenti ha diritto, almeno dopo morto, di essere tra buoni e santi.
Il mio amico Re Franco, uomo immerso in libri antichi da mane a sera, sapendo del mio progetto, mi ha fatto dono di alcune riproduzioni di lettere inedite di De Sade. Un dono prezioso sotto tutti gli aspetti.
A mia volta io vi faccio dono di una scannerizzazione di una lettera da lui inviata alla moglie, non appena incarcerato a Vincennes nel 1777. Con difficoltà leggo il manoscritto e traduco qualche riga di questa lettera scritta l’8 marzo di quell’anno.
“Dopo quel momento terribile nel quale mi hanno strappato così ignominiosamente da te, mia cara amica, non ho mai cessato di soffrire molto crudelmente. Sento che mi è assolutamente impossibile poter sopportare più a lungo una situazione così crudele – la disperazione si impossessa di me… ci sono dei momenti in cui non mi riconosco più del tutto. Sento che la mia mente si smarrisce – il mio sangue è troppo bollente per resistere ad un disagio così terribile, è su di me che voglio volgere gli effetti del mio furore e, se entro quattro giorni non riesco ad uscire, nulla è più certo del fatto che mi spaccherò la testa contro il muro…”
Altro che 4 giorni. Ivi rimase 7 anni e passò complessivamente 30, dei suoi 74 anni di vita, dietro le sbarre.
In tempi nei quali la vita umana valeva quanto quella di una formica, De Sade nessuno uccise né ferì. Pare certo però che alcune giovani assoldate per una festa di sesso, rimasero intossicate ed accusarono malori per dolci da lui addizionati con empirici afrodisiaci. Cose da non fare né ieri né oggi, ma ogni pena ha da essere proporzionata al delitto.
Per chi ha passione per la grafologia o meglio per la psicologia della scrittura, la scannerizzazione dell’originale può fornire un ottimo spunto di ricerca. Incontrando tra qualche settimana una mia cara amica uscita dalla scuola del celebre prof Marchesan (figlio dell’ancor più celebre Prof Marchesan senior) non mancherò di sottoporre questo testo senza dire di chi è la scrittura. E chissà che qualche mia tesi – in fin dei conti un “brav’uomo” – non trovi conferma anche in questo modo.
Ma per il saggio su De Sade c’è da attendere ancora. Suvvia non siate così impazienti.

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